di Alessandro Distante

“Cercare di intuire l’incanto di una piazza che riesce ad essere interclassista e borghese, politica e vacua, sportiva e festaiola, pettegola e sbruffona. Quella piazza che ancora resiste, non so ancora quanto”.

Era questa la promessa/premessa del libro di Alfredo De Giuseppe “Ore otto sotto l’orologio” scritto nel 2001.

Qualche settimana fa Alfredo, all’interno della rassegna cinematografica del SIFF, ha presentato un documentario (“Un giorno all’angolo”) su quella piazza o, meglio, su tutto ciò che gira intorno all’edicola di Gigi De Francesco, quella stessa edicola intorno alla quale nel 2001 aveva fermato la sua attenzione e le sua macchina fotografica.

Questa volta lo strumento per raccontare quell’angolo di vita tricasina, quel crocevia di persone e di vite, è stata una telecamera fissa, piazzata in incognito per 24 ore.

Una sorta di videosorveglianza, come egli stesso ha detto nel corso dell’incontro di presentazione.

Belle le immagini, soprattutto i primi piani: volti intrisi di vita e di storie, fisse in un mondo senza tempo. E poi il via vai di tante persone e, soprattutto, di tante autovetture, alcune delle quali ferme per lungo tempo in pieno divieto di sosta. In quell’incrocio della vita e delle vite tricasine, che, nel 2001, era il luogo dell’incontro, oggi, sotto l’orologio, tanta solitudine.

Una volta “Alle otto, caffè e giornale, commenti su tutto, grida e cattiverie, notizie sempre fresche. L’incontro è sotto l’orologio”.

Questo accadeva nel 2001, ed oggi? La chiusura del Bar Dell’Abate, posto dirimpetto all’edicola, ha svuotato quell’angolo, niente caffè e niente commenti. Alcuni volti tra quelli fotografati nel 2001 non ci sono più, portati via da un destino infausto; altri ci sono ancora ma non in Piazza ed altri ancora lì, con qualche anno di troppo.

Sulla panchina vicina all’edicola con alle spalle San Domenico oppure sulla soglia di ingresso di quello che fu il Bar, tante vite che svelano una ricchezza nascosta, volti spesso disincantati, espressione di una filosofia di vita apparentemente minore, dai quali traspare tanta poesia e al tempo stesso una tenera malinconia; tante persone a custodire un angolo cruciale della Città e che si alternano in questo compito, nelle varie ore del giorno, con la presenza fissa e rassicurante di Gigi.

Eppure al fondo una solitudine che, forse, non è conseguenza solo della chiusura del Bar all’angolo, ma del mettere all’angolo ogni forma di scambio fatto di pettegolezzo e di politica, di festa e di sbruffoneria, in uno smarrito interclassismo dove prevaleva il gusto dello stare insieme.

Un angolo nei pressi dell’orologio; un crocevia di vite che si incrociano ma che forse non si incontrano; la “Piazza che ancora resiste”, ancora esiste?,

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