di Alfredo De Giuseppe Ogni anno il 4 novembre si festeggia la vittoria dell’Italia a conclusione della prima guerra mondiale sul nemico austro-ungarico. Da quel fatidico 1918 si esalta una vittoria, si consuma la festa delle forze armate e della destrezza guerriera del popolo italico, soprattutto dopo il roboante bollettino della vittoria firmato dal generale Diaz che così chiude: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”. Durante gli anni del fascismo era una delle date più rappresentative della grandezza del costruendo impero italiano, nel secondo dopoguerra nessuno ha sentito la necessità di rivedere la storia di quell’evento e di riportarlo nelle sue corrette dimensioni.
Innanzitutto dovremmo ricordare che l’Italia era alleata di Germania e Austria in virtù di un trattato chiamato Triplice Alleanza. L’Italia nel 1914 si dichiarò dapprima neutrale. Poi cominciò a chiedere territori come il Friuli e il Trentino e pesanti influenze sull’Adriatico (Albania soprattutto) per schierarsi affianco dei suoi alleati. Ma contemporaneamente trattava anche con Francia e Inghilterra che offrivano (sulla carta) maggiori compensi territoriali. Nessuno ci minacciava o ci voleva invadere ma si entrò in guerra sulla spinta degli industriali del Nord, dei loro deputati nazionalisti e dei loro giornali che propagandarono la guerra come la soluzione di tutti i problemi italiani. Le masse di contadini del Sud si accodarono, come sempre, in un mix devastante di ignoranza e costrizione.
La gestione militare da parte del comandante generale Cadorna fu disastrosa. Era un convinto assertore degli assalti frontali: per conquistare poche centinaia di metri si portavano migliaia di soldati a morte certa. Le sue mosse erano prevedibili e spesso l’esercito austriaco lo anticipava clamorosamente, fino alla completa disfatta di Caporetto. Fu l’ingresso in campo delle forze statunitensi a spostare gli equilibri e a decretare la fine dell’alleanza tedesca, austriaca e ottomana, attaccata su più fronti e su più mari.
L’Italia perse circa 650.000 uomini. Moltissimi soldati tentarono la diserzione, molti furono fucilati da appositi reparti posti in retrovia, molti furono trucidati con il metodo della decimazione. Molti dei nomi che oggi vediamo sulle lapidi di ogni Comune furono magari dei ragazzi che stavano tentando di scappare dall’assurdità di una guerra fatta di gelide trincee, assalti suicidi e deliri di comandanti assatanati di potere. La fine della guerra decretò inoltre per l’Italia una pesante sconfitta diplomatica sul fronte dei territori da annettersi, tanto che ai più sembrò di aver combattuto per un quasi niente. Tale umiliazione (o “vittoria mutilata” come la definì D’Annunzio) fu in definitiva la causa principale della nascita del fascismo.
Fra gli anni sessanta e settanta ci fu la richiesta di alcune forze di sinistra di eliminare la festa del 4 novembre e ristabilire le verità storiche sul conflitto che invece rimane avvolto in una fastidiosa retorica, anche scolastica. Quei movimenti che chiedevano l’abolizione della “festa militarista” sono oggi scomparsi. L’abolizione degli eserciti, l’antimilitarismo reale e praticato attraverso l’obiezione di coscienza non è più di moda. Dagli anni ottanta in poi tutto è diventato insopportabilmente accettabile, perché l’utopia di un mondo migliore fu sostituita dall’edonismo reganiano (“Quelli della notte” docet).
Le scarpe di pelle di cervo divennero più importanti di alcune battaglie ideali. Molti compagni di Lotta Continua passarono a dirigere le tv commerciali, i contadini morti sul Carso erano un prezzo accettabile per poter avere una bella barca a vela. L’antimilitarismo rimase in alcune piccole sacche residuali del cattolicesimo, vedi don Tonino Bello e Turoldo, in alcuni registi, vedi Rosi e Malick, in alcuni Radicali il cui consenso non superò mai il livello di attenzione e in alcuni poveri illusi che pensavano davvero che si potesse costruire una vita senza omicidi di massa. Ora è tutta un’altra storia ed è sotto gli occhi di tutti.