di Luigi Marcuccio Tricase torna sotto i riflettori televisivi a causa del progetto di riciclo delle acque meteoriche che langue incompiuto, e fiaccato dagli elementi, a più di un decennio dall’inizio dei lavori. Questo progetto prevedeva la depurazione delle acque pluviali perché, a titolo oneroso, fossero utilizzate per l’irrigazione.
Ebbene, pur nella persistenza di alcune zone d’ombra, qualcosa si può dire sulla questione.
Primo, l’impianto summenzionato è tuttora non funzionante, anche perché non ancora collaudato; non solo, le opere già effettuate sembrano soggette a (singolarmente rapido forse ...) deterioramento.
Secondo, poiché i fondi stanziati sono stati tutti interamente spesi, il Comune di Tricase ha chiesto, al fine di completare l’opera, un ulteriore stanziamento alla Regione Puglia (non ho capito se di fondi da questa gestiti oppure fondi regionali “veri e propri”), che questa sarebbe recalcitrante a concedere.
Terzo, sullo sfondo si intravedono due altre opere, in un rapporto di (quasi?)-connessione con l’impianto anzidetto. La prima è un secondo invaso, da costruirsi vicino alla vasca già realizzata: taluni sospettano che servirebbe a rimediare ad alcuni errori tecnici, mentre altri affermano che si tratterebbe di “altra cosa”, senza null’altro aggiungere. La seconda opera è una condotta sottomarina per sversare le acque “sporche” al largo della costa.
Quarto, il progetto in questione fu messo in opera senza che venisse effettuata alcuna dettagliata analisi di fattibilità, sia tecnica che economico-finanziaria, con particolare riferimento: (a) alla variabilità della domanda di acqua per l’irrigazione in ragione del succedersi delle stagioni e degli eventi atmosferici; (b) ai criteri di stima della domanda d’acqua e di fissazione del prezzo di vendita (medio? marginale? “politico”?); (c) all’entità, la natura e le modalità di esazione del canone fisso per l’allacciamento alla rete e del prezzo di vendita per m3; (d) al fatto se i relativi introiti attesi coprano i costi di gestione e di manutenzione e, in caso contrario, in quale modo questi possano essere finanziati; (e) alle istituzioni deputate a gestire l’intera operazione.
Insomma, inebriati dalla volontà di “fare” ... e basta (non importa che cosa ...), e dall’impressione che “i finanziamenti” stiano aspettando qualcuno che li “intercetti”, ci si tuffa, è proprio il caso di dire, in acque poco conosciute e piuttosto perigliose, forse ignari del fatto che i progetti di irrigazione hanno un basso tasso di successo, soprattutto in contesti in cui, come il nostro, non esiste alcuna tradizione di tal genere. Ma tanto, avranno forse pensato i nostri amministratori, “ci sono i finanziamento fuori bilancio comunale”, dimenticando che: (a) questi denari sono in realtà o frutto della tassazione o determinano un aumento del debito pubblico il cui fardello viene scaricato sulle generazioni future (e ciò anche nel caso dei famosi “fondi europei”, che non sono denaro “stampato” e buttato giù dagli elicotteri ma soldi che i singoli stati versano al bilancio dell’Unione europea e che, detratti i non trascurabili costi di gestione del sistema, vengono redistribuiti tra i singoli stati, a cura della Commissione europea, per finanziarie progetti opinati rispondere ad obiettivi dell’Unione europea); (b) il progetto di cui si chiede il finanziamento potrebbe non essere appropriato alla realtà locale; (c) all’ente pubblico che usufruisce di finanziamenti “fuori bilancio” per realizzare un’opera è, di prassi, richiesto di contribuirvi con fondi propri (come è accaduto in questo caso, per circa, se non erro, 1 milione di euro).
Ma quello che più mi lascia con l’amaro in bocca é che, dopo i litigi, in diretta televisiva ed in differita sui social network, le reciproche accuse di comportamento menzognero, incompetenza, “aver fatto brutte figure” e quant’altro, tutti sembrano comunque convergere su una comune linea da seguire: the show must go on, l’opera deve essere completata (come, si vedrà ...).
Nessuno osa sfidare il conformismo ed il populismo dilaganti interrogandosi se valga la pena di terminare un progetto fondato sull’ipotesi che a Tricase vi siano soggetti disposti a pagare per l’acqua irrigua. In realtà l’agricoltore tricasino, già rara aves e peraltro in via d’estinzione, spesso e volentieri si rifornisce dalla falda freatica di acqua senza sborsare nulla oltre il costo di estrazione della medesima; quest’ultimo, a sua volta, si compone in massima parte di un costo (quello di perforazione del pozzo) affrontato all’inizio dell’attività estrattiva e quindi non evitabile interrompendola (in gergo tecnico siamo in presenza di un sunk cost). Non è realistico poi pensare che, nel prossimo futuro, sarà esatta una tariffa per l’estrazione dell’acqua sotterranea, visto l’appiattimento di tutte le forze politiche sulla posizione, becera prima ancora che demagogica e populista, che “l’acqua non è un bene e quindi non si paga”: ergo, il singolo, con tutta probabilità, non avrà né interesse né incentivo alcuno a rifornirsi, a titolo oneroso, di acqua dal previsto impianto, in quanto, gratis o quasi, disporrà dell’acqua di falda.
D’altro canto, la distribuzione di acqua depurata a titolo gratuito: (a) richiederebbe continue iniezioni di denaro pubblico per garantire il funzionamento del sistema, cosa che, anche a volerla ritenere realistica, solleverebbe problemi di equità sociale (perché l’acqua irrigua sarebbe disponibile gratis e quella per usi domestici a pagamento?); (b) non risolverebbe il problema del divario tra l’acqua “in entrata” e quella “in uscita” nell’immediatezza degli eventi piovosi, visto che nessuno irriga quando vi è un evento piovoso né a breve termine da questo.
In conclusione, le acque piovane, anche se depurate, dovranno essere, almeno in parte, sversate in mare. Ebbene, attualmente le acque meteoriche e reflue sfociano nel canale del Rio: le seconde, dopo una depurazione dall’efficacia indubbiamente migliorabile, le prime, parrebbe, senza alcuna significativa depurazione. Ora, la depurazione delle acque piovane prevista nel progetto non mi sembra evitare sensibilmente l’inquinamento di quest’insenatura, e soprattutto la percezione di questo, che è alla fine quello che conta nell’ambito dell’auspicato sfruttamento del notevole potenziale turistico del canale del Rio. In realtà, la condotta sottomarina sembra l’unica opzione in grado di coniugare la difesa dell’ambiente con la necessità di sversare le acque piovane in mare: ma allora non conviene adottare questa soluzione, da finanziarsi anche tramite i risparmi derivanti da una depurazione meno costosa (comunque necessaria ma meno incisiva che nel caso della produzione di acqua irrigua)?