di Antonio Facchini Traduco emozioni,con difficoltà, e pensieri che nell’immediatezza costituiscono il riconoscimento dovuto anche se davvero molto piccolo dell’intimità fraterna che mi unisce a Giacomo, e che non è incrinata dalla sua morte. Ho incontrato Giacomo negli anni difficili della formazione giovanile, quando alla consolazione tutta intellettuale delle aule del Liceo Capece non sapevo bene come far corrispondere le intuizioni con la pratica quotidiana, in una realtà come la nostra dove si vivevano le attese della rassicurazione sul futuro e il bisogno di trovare legittimazione come comunità. Un percorso che parte dai miei 17 anni e che, tuttora condizionato dalla storia, dalle storie di un mezzogiorno di diaspore e di ripartenze, di rincorse e di falsi miti, rende attuale la sua esperienza di vita, quella di uomo artefice di grandimoti interiori, vivissimi, e capace di tracciare solchi perdisseminarvi nuclei di speranza, di tenacia e di rigore. Un’esperienza della quale costituisco una parte di senso, essendogli stato per lunghi anni accanto con motivazioni condivise e la rassicurazione che può venire da un compagno in cammino con te, che riconosce i talenti e la forza liberante del modello di vita praticato. Conobbi in lui l’inquietudine della ricerca dell’efficacia, dell’utilità sociale, del bene come risorsa comune e non come distintivo di privilegio e di separatezza. Ai confini tutelanti dalla divisa dei Carabinieri, che gli aveva consentito di acquisire un abito mentale dignitoso mai dismesso e di cui è sempre andato orgoglioso, aveva poi deciso di anteporre altra prospettiva. Non importano qui le circostanze, vissute comunque con consapevolezza, quanto la scelta convinta di un impegno che lo portò a misurare bisogni e fragilità, dignità frantumate ma non vinte, sorrisi semplici e slanci di solidarietà. Scelse il lavoro di comunità, non si arrese dinanzi alle distanze sul territorio, percorse nei primi tempi in motorino, comprese che il segretariato sociale era di una vastità impensabile. E non si spaventò. Iniziò la sua presenza decisiva nelle ACLI, come operatore del Patronato.Col tempo poi altre necessità lo misero alla prova. L’urgenza che le istanze diffuse avessero voce e rappresentanza, all’interno del movimento e nelle sedi istituzionali. Anche qui è poco importante ricordare ed elencare gli incarichi ricoperti, quanto piuttosto ripensarlo in Comune o in Provincia o nelle ACLI regionali e nazionali, con lo stesso sorriso e la convinzione che le opere umane sono comunque governate provvidenzialmente, che gli obiettivi più ardui sono alla portata degliattori più umili, purché ci sia l’affidamento alla dimensione umana profonda e la sofferenza abbia una prospettiva storica oltre che spiritualmente, religiosamente fondata.Ricordo la comprensione sofferta dell’incontro di Paolo VI con gli operai dell’Italsider di Taranto, nel Natale del ’68: Giacomo tradusse la portata dell’appello drammatico del Pontefice a non essere abbandonato dalla classe lavoratrice nella consapevolezza di dover accettare la sfida edare un sia pur piccolo contributo per fare della politica una pratica di responsabilità nei confronti della comunità e dei più deboli. Rigore e tenerezza gli sono stati congeniali, nei rapporti sociali, ma soprattutto nella dimensione più profonda e intima, quella vissuta da marito e da padre. L’entusiasmo e la gioiosità dei momenti a lungo vissuti insieme, nelle nostre case, sono un patrimonio di intesa profonda che mi legano indissolubilmente a Giacomo, Elena, Antonio e Sergio. Ho avuto la consolazione di salutarlo, qualche giorno fa. Al mio ‘ci vediamo domani’, stringendogli la mano, ha risposto ‘se Dio vuole’. Quest’ultimo affidamento ha suscitato un altro pensiero, che gli voglio rivolgere come riconoscimento della sua radicalità filiale, del suo particolare legame con la madre, affidandomi a LA MADRE di Ungaretti, scritta dopo il ritorno del poeta alla fede cristiana: E il cuore quandod'un ultimo battito/avrà fatto cadere il muro d'ombra/per condurmi, Madre, sino al Signore,/come una volta mi darai la mano./In ginocchio, decisa,/sarai una statua davanti all'eterno,/come già ti vedeva/quando eri ancora in vita./Alzerai tremante le vecchie braccia,/come quando spirasti/dicendo: Mio Dio, eccomi./E solo quando m'avrà perdonato,/ti verrà desiderio di guardarmi./Ricorderai d'avermi atteso tanto,/e avrai negli occhi un rapido sospiro.