Lo so che in politica gli stati d’animo non contano, ma ho provato disorientamento nel leggere le notizie di questi giorni sul tesseramento nel PD di Tricase. E’ certamente vero che le adesioni ad un partito politico devono essere libere ed aperte e che il consenso democratico passa attraverso la “conquista” di nuovi adepti; se così non fosse, i risultati sarebbero sempre uguali e non vi sarebbe mai la possibilità di cambiamento, la qual cosa sarebbe la fine della democrazia che si nutre di alternanze e di alternative possibili. Ma è altrettanto vero che risulta difficile comprendere come si possa aderire ad un Partito che sostiene una maggioranza alla quale si fa opposizione. Mi è ben nota la distinzione tra politica ed amministrazione ma, in un’epoca dove non esistono più i partiti ideologici e dove lo stesso partito e gli uomini di vertice si identificano con i capi di governo e di regione, quella distinzione appare sin troppo sottile se non addirittura inesistente. Tra esigenze di apertura e salvaguardia dell’identità, la scelta finale è sempre frutto di un difficile bilanciamento e non mi va di esprimere giudizi di valore o, peggio, emettere sentenze di condanna. Quello che voglio esprimere è il disorientamento, uno stato d’animo che non penso sia vissuto solo da me. Il disorientamento porta come effetto negativo l’allontanamento dall’impegno e alla messa in discussione di fedi e valori. I più disorientati potrebbero addirittura scandalizzarsi (categoria ormai bandita da una certa cultura politica e non solo) e giungere a pensare che l’adesione ad un partito non risponda tanto a scelte politico-programmatiche quanto ad esigenze tattico-strategiche per la conquista del potere. Intendiamoci: anche la conquista del potere è un processo democratico ed è il mezzo per servire la comunità. Ho lasciato il PD di Tricase qualche anno addietro dopo una invasione, ovviamente democratica, nella sezione del Circolo di Tricase; nella riunione convocata dal Partito per scegliere il candidato Sindaco, fecero la loro comparsa molti iscritti che però non avevano mai partecipato al dibattito svolto fino a quel momento e che anzi avevano optato per la militanza nella Associazione “Più fatti” impegnata direttamente nella competizione elettorale. La scelta finale, sulla quale quella sera concordammo (compreso il sottoscritto), fu quella vincente, perché il PD indicò come candidato a sindaco, Antonio Coppola. Tuttavia –anche quella volta disorientato non per la scelta ma per il metodo- lasciai il Partito che, insieme ad altri, avevo contribuito a fondare, dapprima con il Movimento per l’Ulivo, poi con i Democratici e quindi con il PD. Lo so: il disorientamento non è una categoria politica, ma, consentitemelo, è un effetto di una politica nella quale ho difficoltà a ritrovarmi.