di Pasquale FERRARI

Messi alle spalle, canti, musiche, coriandoli (e qualche polemica, forse sterile) propri del Carnevale siamo ora proiettati nel periodo della Quaresima.

Pur in attesa degli ultimi strascichi festaioli, e mi riferisco alla tradizione della “pentolaccia” (più o meno sentita anche alle nostre latitudini, e festa tra le più amate specie dai bambini, che indossano di nuovo i costumi carnevaleschi), è arrivato il tempo in cui ancora tante persone vivono l’austerità propria del periodo sacrificando “qualcosa”, nel quotidiano, a cui si tiene molto.

Un impegno che si assume senza aspettarsi nulla in cambio.

In realtà, diversamente da quanto in origine significava il «fioretto», nel senso di voto, che etimologicamente era chiaro riferimento al fiore come quel “qualcosa” che si offriva chiedendo una grazia per devozione.

Non ci sono, in tal senso, solo le pratiche tradizionali del digiuno e dell’astinenza: per alcuni può essere un sacrificio rinunciare ora a un cibo gradito, ai dolci, alla carne, o la bevanda preferita.

Oppure fare a meno di guardare un programma televisivo entusiasmante, di giocare al videogioco preferito, o ancora, vista la preponderanza dei social network, evitare di controllarli in modo compulsivo nell’arco della giornata.

Un impegno apprezzabile potrebbe essere persino quello di ‘moderare’ il proprio carattere, essere più pazienti, tolleranti, verso i nostri cari, i colleghi di lavoro, o chiunque ci troviamo ad incontrare. 

Coltivare la gentilezza e la cortesia dovrebbe essere qualcosa di naturale e costante, ma di questi tempi richiede uno sforzo in più.

Decidere di sacrificare un po’ del nostro tempo e delle nostre energie per aiutare il prossimo. Maggior impegno in famiglia e in casa, qualche aiuto in più ai genitori e alle persone anziane, magari anche ai vicini di casa non autosufficienti, piccole forme di volontariato.

E allora ditelo con i fiori. O con i “fioretti”. Piccoli o grandi sacrifici che siano, chiunque può farli. La parte difficile è mantenerli. Per riuscirci occorre forza di volontà e costanza, anche perché si tratta di un vero e proprio allenamento. 

È probabile che in un primo momento gli sforzi per adottare queste piccole rinunce possano provocare sensazione di stress, e quindi demotivazione che potrebbe spingere ad abbandonare l’impegno. Fare sacrifici, infatti, non porta momentaneamente la felicità, ma rende soddisfatti e consapevoli di poter affrontare gli ostacoli. 

Pensiamo dunque alla meta e non a quanto sia duro il percorso… e avanti tutta!

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