di Pasquale FERRARI

Nei giorni scorsi, a Roma, nel grande Salone del Ministero della Cultura, si è svolta una conferenza stampa alla presenza del Ministro Gennaro Sangiuliano nel corso della quale sono stati presentati 60 reperti archeologici rimpatriati dagli Stati Uniti, dov’erano stati commercializzati da trafficanti internazionali, ad opera dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC).

Il risultato dell’operazione – «di storica portata», come lo ha definito il Generale di Brigata Vincenzo Molinese, Comandante del Comando Carabinieri TPC – è il frutto di anni di diligente e difficile lavoro investigativo e la testimonianza dell’instancabile e costante impegno delle istituzioni e non può non porre l’accento sulla necessità di salvaguardare il patrimonio culturale nazionale, “attraverso la prevenzione e la repressione delle violazioni alla legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici”, proprio come previsto tra i compiti del Comando dell’Arma appositamente istituito sin dal 1969.
I beni tornati in Patria, per un valore stimato di circa 20 milioni di euro, rappresentano il saccheggio di siti archeologici nazionali perpetrato da trafficanti senza scrupoli. Immessi nel mercato antiquario internazionale da ricettatori e mercanti d’arte e per troppo tempo rimasti in musei, case private e gallerie estere senza alcun diritto di proprietà.
 
Troppo spesso, tuttavia, si ritiene che l’immenso patrimonio nazionale sia limitato – per sentimento comune e unanime condivisione di pensiero – alle sole opere d’arte (quadri, monumenti) custodite nei musei o messe ad ornamento di edifici e piazze e non anche a ciò che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. A portata di mano. O addirittura a qualcosa di immateriale.
Se solo ci soffermassimo, nella nostra quotidianità, a pensare in questa direzione, la mente, e poi lo sguardo, non potrebbero non riportarci alle irregolari composizioni che sono i “muretti a secco”, ritenute anch’esse, non a torto, vere e proprie opere d’arte. Un’apparente accozzaglia di pietre, quasi a sembrar casualmente riposte per limitare campi e proprietà, o addirittura utilizzate per la costruzione di abitazioni, che nel tempo hanno modellato i nostri paesaggi testimoniando metodi e pratiche usati sin dalla preistoria per organizzare gli spazi dove vivere e lavorare ottimizzando le risorse locali naturali. Realizzazioni dalle molteplici forme, regolari o irregolari, che da sempre rivestono un ruolo primario pure nella prevenzione di frane e alluvioni, eppure nate quasi spontaneamente, per mano dei contadini che, arando, portavano le tante pietre trovate lungo i solchi, al limitare del terreno. Posandole una sopra l`altra.
 
“Petra su petra azza parite”. Il detto salentino significa che pietra su pietra si innalza un muro: c`è tutta l`umanità di un popolo in quelle pietre. In quell’Arte “che riguarda il saper fare costruzioni in pietra accatastando le pietre una sopra l'altra senza usare altri materiali se non, a volte, la terra secca”, che, nel 2018, l’UNESCO ha iscritto, appunto, nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell'umanità accogliendo la candidatura presentata anche dall’Italia, e per questa anche dalla Puglia. Un’espressione che è un incoraggiamento, un`esortazione alla pazienza e alla tenacia di quello stesso popolo. Una metafora per dire che le grandi cose si fanno un passo alla volta. Con abilità. Con Maestria. Con Arte. Un’Arte che, invece di essere salvaguardata come meriterebbe, viene spesso violata e violentata. Un vero sacrilegio. Nulla di meno, per effetti provocati, delle razzie in danno dei siti archeologici.
 
Nei nostri paesaggi quotidiani questi muri sono così comuni che spesso si dimentica la loro importanza storica e sociale. La mancanza di manodopera specializzata e l’agricoltura meccanizzata, sono solo le cause più evidenti tra quelle che stanno portando alla scomparsa di queste meraviglie.
Altre ragioni, piuttosto, assumono i connotati dell’incuria e della trascuratezza. Il grido di dolore della nostra memoria si fa spazio tra le azioni, e le omissioni, che deturpano irrimediabilmente non solo quegli “accumuli di sassi”, ma anche il ricordo di una intera civiltà. Di chi è la colpa di questo scempio? Potremmo allargare le braccia e far finta di non sapere la risposta. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra …”. Anzi no. Lasciamole dove sono. E magari proteggiamole meglio.

 

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