Dopo una breve malattia si è spento il 19 novembre (Graziano) Antonio Fracasso. Nato il 21 gennaio 1923, era partito diciannovenne da Tricase con destinazione Trieste, per imbarcarsi sulla nave dov’era stato assegnato: la corazzata Conte di Cavour. La vita di marinaio, pur in tempo di guerra, gli piaceva: si mangiava molto meglio che a casa; si poteva fare sport; non mancava il danaro per i divertimenti e Trieste era una bella città. È lo stesso Fracasso a raccontarlo in un libretto autobiografico, dal titolo Le mie memorie, pubblicato nel 2008. L’anno della svolta è il 1943. Il pomeriggio dell’otto settembre, la notizia dell’armistizio giunge per radio «come un fulmine a ciel sereno», mentre il giovane marinaio tricasino, con altri commilitoni, si trova nella centralissima piazza Goldoni in libera uscita. L’entusiasmo si diffonde subito, ma dopo la prima reazione sorgono inquietanti interrogativi riguardo all’atteggiamento degli ex alleati tedeschi. «Sembrava la fine di un incubo -continua Antonio Fracasso- e invece era l’inizio di una lunga e triste agonia di guerra durata quasi due anni». La sera del 10 settembre, con gli altri giovani marinai, Antonio Fracasso lascia la sua nave priva di ordini e trovandosi in una città nella massima confusione, si rifugia nella casa di un paesano sperando nell’arrivo imminente degli alleati anglo-americani. Trieste cade sotto lo stretto controllo dei tedeschi che la governano col terrore: il coprifuoco, le fucilazioni facili, i rastrellamenti rendono sempre più pericoloso viverci. Nel 1944 Antonio Fracasso, già in contatto col locale comitato segreto dei partigiani, decide con altri giovani di unirsi alla brigata Garibaldi i cui partigiani sono accampati vicino al monte Tricorno, al confine tra Italia, Austria e Jugoslavia. «Quanta fatica, quali sofferenze e quanti ricordi hanno lasciato nella mia mente quegli anni particolari della mia esistenza -scrive Antonio Fracasso- Non solo le azioni militari ma anche le emozioni, i sentimenti, le paure, le amicizie sincere della vita militare di ogni giorno». Alcuni episodi vissuti da partigiano egli ce li fa conoscere; lo fa con passione e semplicità, mai in stile epico o autocelebrativo e dai suoi racconti traspare una personalità ricca di valori umani e cristiani, perché la fede -lo scrive più volte- è uno dei capisaldi della sua vita. Antonio Fracasso è un uomo mite e perciò un partigiano speciale che conserva intatta la sua umanità e la sua educazione al rispetto dell’altro: non disdegna, prima di andare sui monti, di incontrarsi con paesani che hanno scelto di stare dall’altra parte; non condivide gli eccessi del fanatismo ideologico; ha orrore della ferocia dei partigiani di Tito; rimane impermeabile all’indottrinamento comunista durante la quotidiana e obbligatoria ora di politica; coglie le contraddizioni dei capi che riguardo all’uguaglianza non vivono ciò che insegnano. La sua mitezza è corroborata da una forza d’animo esemplare; quando a fine dicembre 1944 verrà catturato, bastonato e ridotto in fin di vita dai tedeschi -si salvò solo perché erano dell’esercito e non delle SS- per carpirgli informazioni militari, egli perderà l’udito per i maltrattamenti subiti, ma non parlerà. Anche la fine della guerra a Trieste è raccontata dal partigiano tricasino con ricchezza di particolari e di impressioni personali su quei drammatici avvenimenti che videro i partigiani di Tito, subentrati ai nazisti in rotta, compiere vendette e atrocità che Fracasso considera veri e propri crimini. La triste guerra per lui finisce nel maggio del ’45, quando dalle montagne scende con gli altri partigiani della Garibaldi a Trieste dove «c’erano già gli alleati e c’era calma e tranquillità: le nostre sofferenze morali e fisiche erano terminate. Avevamo i nostri comandanti italiani e le nostre caserme erano sotto la protezione degli alleati e soprattutto ci eravamo liberati dell’arroganza dei partigiani di Tito i quali, sebbene si combattesse insieme, ci insultavano con la solita frase “fascisti in foiba”! Antonio Fracasso tornò a Tricase nel giugno ‘45 e congedato dalla Marina nel 1946, si trasferì a Trieste per lavoro. Benché la sua attività di partigiano fosse stata regolarmente riconosciuta e benché avesse avuto la Croce al merito, gli rimase «il forte rammarico per non aver saputo o potuto avere il giusto riconoscimento per le fatiche, i pericoli e le sofferenze della lunga guerra vissuta». Antonio Fracasso non vide infatti riconosciuti i suoi diritti, non ebbe alcuna pensione e dovette curare a sue spese i postumi delle ferite di guerra che lo portarono in breve tempo alla sordità totale. Cittadino esemplare, ha svolto con competenza e puntualità il suo mestiere di sarto, si è dedicato alla famiglia con amorevole cura ed ha amato la patria e la sua città alla quale continua a dare dignità e decoro.