Si parla e si scrive poco nel nostro paese, se non sulla stampa specializzata, di politica estera, di politica militare e di politica industriale. È un retaggio culturale che l’esito della seconda guerra mondiale ha contribuito a far crescere e che la cultura odierna tende ad alimentare. Ma sono i cardini su cui ruota la sicurezza nazionale, il sostegno alle attività industriali più avanzate e la credibilità del paese nel consesso delle nazioni. Cardini, altrove, più robusti, più oliati, decisamente più efficaci, e dunque più potenti nel favorire lo sviluppo del paese. Sviluppo che nella nostra Italia si basa, a differenza di altri, sul mare e dunque sulla sua importanza strategica. Un mare oggi fortemente inquinato da guerre e guerricciole alle quali non basta la terraferma per causare lutti e rovine ma, come metastasi in rapido movimento, si diffondono anche sul mare e preoccupano e minacciano altri paesi o i loro interessi. Ed è qui che subentra la credibilità della nazione, tanto più valida ed efficace quanto più solida e capace è la sua politica estera e quanto più supporta e ne è supportata dalla politica industriale e dalla politica militare. Una politica estera che non può non tenere conto di come l’Italia sia una penisola protesa nel Mediterraneo, di come la sua economia si basa soprattutto sul suo apparato produttivo, di come i suoi prodotti viaggiano essenzialmente sul mare, di come sul mare viaggiano anche le materie prime per produrli e di cui siamo fortemente carenti. Qualsiasi restrizione al movimento delle merci sul mare costituisce dunque una minaccia al nostro sistema economico e dunque al nostro benessere. Un sistema che, pur basandosi su un efficace livello di cooperazione con tanti paesi stranieri, non può prescindere dalla sua difesa allorquando tutti i tentativi diplomatici risultino vani. Tentativi oggi resi ancor più difficili dall’affacciarsi sulla scena mondiale di nuove entità politiche che, dotate di grandi mezzi ed appoggiate da alcuni governi, mettono a dura prova gli usuali rapporti fra stati organizzati, ne smantellano quelli più deboli e danno origine ad emigrazioni di massa che poi la politica locale non è in grado, di contrastare o di limitare, con costi ed impatti ormai così alti sul bilancio dello stato, così visibili nelle tante periferie delle nostre città e causa ormai di vivi contrasti fra le diverse regioni d’Italia nel dare loro assistenza. In tale difficile contesto la Marina Militare, che in questi giorni celebra la sua festa in memoria di un eroico atto (affondamento della corazzata austriaca Santo Stefano) continua a fare il suo duro compito ma con ben scarse risorse e senza aver visto ancora risolto, da parte delle autorità italiane/indiane, il caso dei suoi due marinai, impegnati nel difficile compito antipirateria. Una triste sconfitta della nostra politica estera. Una profonda amarezza per tanti marinai che, chiamati dal paese ad operare in condizioni difficili o rischiose, non si vedono dal loro paese né adeguatamente protetti né dotati di moderne e ben più numerose navi. Una marina adeguata alle reali necessità del paese (abbiamo solo 4 sommergibili, meno della povera Grecia e molto meno della Turchia che ne ha 14) dunque, non solo come difesa del nostro traffico e della libertà di navigazione, non solo per dare un efficace contributo alla politica estera, non solo per appresentare nel mondo la migliore tecnologia italiana, non solo per raccogliere in mare migliaia e migliaia di migranti ma anche perché quel Mare Nostrum, il Mediterraneo, fino ad oggi linea di separazione e luogo di incontro e scontro di diverse culture politico-religiose non diventi, con l’integralismo che avanza, con le armi e la cultura islamica che arriva ammassata sui barconi a ripopolare le nostre città, un Grande Lago Islamico e le nostre chiese, trasformate in moschee con minareti, torneranno a riempirsi. Nella storia è già successo e la storia sovente si ripete e si ripete anche sul mare. Ma chi affonda sono sempre i più deboli o meno capaci e lungimiranti.