Ezio Sanapo ha la faccia tonda, buona del vecchio contadino di Supersano, uno di quei paesi dell’entroterra salentino che fino a qualche decennio fa erano imbevuti di moralismo cattolico frammisto ad un’economia ancora feudale. Ezio, che non è stato mai contadino, ma che ha lavorato fin da bambino nell’impresa edile del padre, ha rifuggito quei concetti, quel modo di vivere. Fin da giovane, in nome dell’arte, della sua concezione della vita, di un’immaginazione che andava ben oltre i confini stabiliti da regole settarie, secolari, frustranti. Ha girovagato per lunghi anni, prima in Svizzera, poi a Parma, ha creato una bella famiglia, sempre con il pennello in tasca e i colori nella mente. Da qualche anno è tornato nel Salento, vive a Tricase, dove tenta di donare se stesso e la sua arte alla comunità, riuscendovi con difficoltà come capita spesso ai sensibili generosi. Ezio Sanapo ha saputo crearsi, da autodidatta, uno stile che non è solo stile pittorico, ma anche contenutistico. Molti suoi quadri sono momenti di vita quotidiani, il ricambio di una lampadina, la banda che suona, l’uomo che semina, il bambino che gioca, una scala poggiata al muro, che riescono comunque a conservare un soffuso pentagramma sognante. Le sue figure di donne non sono mai banali, magari fotografate in un momento semplice, ai fornelli o al bagno del bambino, ma sempre nell’ambito di una visione ottimista e stemperata, dove i colori si confondono con la stanza, il cielo con la terra, gli attrezzi con le mani. Anche quando è chiamato a dipingere angeli e santi, il suo stile predomina sulle convenzioni: le figure non sono mai anoressiche, ma neanche bellissime, magari leggermente paffutelle, i muscoli si confondono con un’incipiente pinguedine, il bacino è largo, le cosce non vogliono ricalcare il modello michelangiolesco ma la serenità di chi ha raggiunto una pace con il mondo circostante, anche con il cibo e quindi con se stesso. Le sue linee tondeggianti, sognanti, avvolte dentro la nebbiolina dei ricordi, nella cornice di una fotografia d’inizio novecento, sono lontane dalla durezza del nostro paesaggio ancestrale, perché in Ezio prevale la dolcezza, la sensibilità del gesto, la curiosità di un momento, la fanciullezza del pensiero. In questo senso alcuni suoi tratti appaiono molto vicini alla pittura naif, anzi, una evoluzione della semplicità, uno stato d’animo pittorico che poi si interseca tutti i giorni con la vita comune, con il sentire delle anime più belle. Ezio non è avulso infatti dalla realtà: mentre dipinge, partecipa alla vita politica, è attento alle dinamiche giovanili, firma la petizione contro l’uso indiscriminato dei colori nelle nostre cittadine, si impegna perché l’ambiente sia tutelato. La dimostrazione vivente che essere sognatore non significa vivere in un’altra dimensione, che la sensibilità e l’arte possono essere a disposizione di un mondo migliore. In mostra a Matino presso Palazzo Marchesale dal 16 maggio al 6 giugno.