Continua dallo scorso numero il reportage su Xylella

“Il batterio comunque oltre a portare ad una desertificazione olivicola, ad un impoverimento del territorio e ad alla scomparsa per un paio d'anni di olio di buona qualità made in Salento, ha portato e porterà soprattutto nei prossimi anni un mucchio di soldi. Tantissimi.” Ci eravamo lasciati così la scorsa settimana a proposito delle tante ripercussioni dirette ed indirette che il batterio (o chi per lui) avrà sul territorio. Si parla di guerra chimica o addirittura di un gran regalo di pasqua fatto alle industrie fitosanitarie e chimiche. Onestamente credo che siano delle ipotesi quasi surreali. Invece è reale, anzi realissimo, il giro d'affari che è andato via via implementandosi che riguarda l'acquisto di olio straniero da parte del nostro paese. Un giro d'affari stimato in migliaia di milioni di euro, che l'emergenza Xylella ha sicuramente avvantaggiato. L'Italia è il secondo produttore di olio al mondo (era il primo fino ad una decina di anni fa) dietro la Spagna, ma continua a perdere terreno. Si è passati dalle 840.000 tonnellate prodotte nel 2004 alle 460.000 del 2011; quantitativo che è rimasto pressochè inalterato fino all'anno scorso in cui si è avuto un crollo mai avuto prima: 200.000 tonnellate prodotte. Abbiamo avuto cioè un decremento della produzione di olio del 76 % in soli dieci anni. Incredibile. Il nostro Salento produce il quasi la metà di tutto l'olio prodotto in Italia, ma gli ultimi due anni anche e soprattutto per noi, sono stati anni orribili. Probabilmente si è avuto questo calo vertiginoso di produzione perchè il Salento attraversa questa fase di incertezza ed instabilità. Possiamo almeno consolarci però, in qualità di Italiani, perchè tuttora siamo il paese leader di esportazione d'olio a diverse lunghezze dalla Spagna. E qui vi è l'inghippo: come è possibile che nonostante la nostra produzione sia calata quasi dell'80 %, siamo ancora il primo paese esportatore d'olio in tutto il mondo? Basterebbe dare un'occhiata ai dati diffusi da CSConfagricoltura per capire il giochino. Dal 2004 infatti abbiamo avuto un progressivo calo della produzione e un conseguente calo dei consumi; ma a fronte del calo produttivo avremmo dovuto registrare anche un calo nelle esportazioni. Invece no; le esportazioni hanno continuato a salire. La produzione interna non soddisfa la domanda, perciò si ricorre ad economie estere. Infatti fino al 2013 compravamo 240.000 tonnellate solo dalla Spagna, 155.000 dalla Tunisia, 131.000 dalla Grecia e così via fino ad arrivare ad un valore doppio alla nostra produzione ai livelli del 2011. In termini pratici vuol dire che fatto 100 tutto l'olio “Italiano”, 50 parti sono veramente Italiane e altre 50 vengono importate da altri paesi. Nell'anno appena trascorso per mantenere inalterato il quantitativo d'olio invece, si sono importate quasi 600.000 tonnellate di olio straniero (seicentomila tonnellate!). Un giro d'affari mondiale e di proporzioni veramente inimmaginabili. A contare in soldoni tutto quest'olio, pagato ad una media di circa 2,8 €/litro, si contano circa 1500 milioni di euro (un miliardo e mezzo di euro!). Definito il volume d'affari dell'import, resta da capire in che modo l'olio Spagnolo, Greco, Tunisino, Argentino e Cileno arrivi sulle nostre tavole, su quelle degli Americani (che ne acquistano da soli 106.000 tonnellate ogni anno), dei Tedeschi e dei Giapponesi accompagnato dal marchio radioso del “Made in Italy”. Una pratica illegale, meschina e pericolosa che vede dei passaggi cruciali. L'olio Tunisino arriva spesso in Spagna o in Grecia, dove viene mescolato ad oli locali di bassa qualità ottenendo il certificato di provenienza Europea; successivamente viene congelato e spedito in autobotti da 100 tonnellate nei vari porti d'Italia, tra cui quello di Livorno, che vede il transito del maggior numero di autobotti. Da Livorno partono poi per le varie località Italiane, tra cui anche per il Salento. Tempo fa i Nas di Lecce, che hanno messo sotto controllo 12 oleifici della nostra zona, hanno sequestrato 8 tonnellate di olio provenienti da Grecia e Spagna, pronti per essere venduti come “olio extra-vergine d'oliva Italiano” e denunciato 5 persone per frode in commercio. Contemporaneamente i Nas di Pisa hanno sequestrato svariate tonnellate per lo stesso motivo nell'alta maremma. È una pratica abbastanza comune perchè il processo conviene. Basti pensare che comprare dell'olio di scarsa/scarsissima qualità a 2,8 €/litro e tramite processi di deacidificazione, deodorazione, decolorazione e degommaggio far assumere al prodotto aspetto e un odore gradevole, il gioco è fatto. Olio extra-vergine di oliva pagato una miseria e rivendibile dai 3,5 ai 5 €/litro (volendo mantenere dei prezzi competitivi), ma nessuno vieta loro di vendere a 8 o 9 € al litro (prezzo medio finale del vero olio extra-vergine). Il New York Times, come spesso accade, arriva prima di tutti gli altri a fiutare scandali e già quindici giorni fa pubblicò sul suo sito un video allarmante, in cui si spiega agli Americani questo processo, puntando l'indice sul made in Italy. E il video ha fatto molto scalpore anche perchè l'olio loro, lo pagano dai dieci ai venti euro al litro, in base alla qualità. Una pratica pericolosa che danneggia in primis la salute dei consumatori, ignari e anche un po pigri nel non leggere attentamente l'etichetta del prodotto, che nella migliore delle ipotesi si presenta come quella in foto, ma che spesso nasconde le indicazioni più importanti sul retro della bottiglia; pericoloso per quei tanti produttori del vero e ottimo olio extra-vergine d'oliva Italiano che vedono denigrato il loro lavoro; pericoloso per il marchio “Made in Italy” da sempre marchio di unicità, qualità e tradizione. Un ritorno alla sana coltura e cultura dell'olivo non guasterebbe proprio a nessuno e farebbe bene alla salute.

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