Circa duecentocinquanta giovani (e forse non solo giovani) professionisti, provenienti anche da altre regioni, si sono presentati alla prima prova del concorso indetto dal Comune di Tricase per due posti di Istruttore direttivo amministrativo.In merito, innanzitutto, sento di dover plaudire al coraggio ed alla determinazione di questi concorrenti. Essi si sono sobbarcati un viaggio anche di molte ore, per non parlare dei presumibili sforzi (e forse spese) di preparazione, per poi combattere un’impari battaglia contro il calcolo della probabilità, che assegnava ad ognuno di loro una chance di successo ex ante estremamente bassa, considerando il rapporto tra il numero dei posti disponibili e quello dei concorrenti.Ma non solo: in realtà questi concorrenti hanno sfidato anche delle “voci ”, giuntemi già circa due anni orsono in modo del tutto casuale inopinato e non voluto, che due persone “si aggiravano” negli uffici comunali al fine di “intrufolarvisi” quali funzionari di categoria D.Ma forse, più che di coraggio, si tratta della consapevolezza (o della speranza?!) che “panta rei”, che forse i giochi sono cambiati …: del resto, di bouleversements ce ne sono stati a bizzeffe da due anni a questa parte, sia a livello locale che nazionale.Certo è però che, astrazion fatta per la lodevoli doti caratteriali dei concorrenti, di cui sopra ho detto, il quadro d’insieme è oggettivamente desolante.L’amministrazione comunale di Tricase continua a perseguire una logica di crescita dell’occupazione al suo interno, intrinsecamente “spendacciona” non foss’altro che per i costi di organizzazione ed esecuzione dei relativi concorsi. A ciò, nel contesto di progressiva ulteriore introduzione di tecnologie labor saving, si associa, anche a livello sovra-comunale, un aumento delle funzioni della pubblica amministrazione (bisognerà pure prevedere che i dipendenti pubblici facciano qualcosa …) con conseguente ulteriore burocratizzazione della struttura sociale. Insomma, l’ipertrofia nel varo di regole e l’annuncio di controlli, peraltro inversamente proporzionale alla capacità di garantirne l’applicazione e l’effettuazione, si risolve di fatto in una situazione in cui : a) “i soliti ignoti”, sfruttando le loro “conoscenze” più o meno interessate, riescono, nella confusione generale, a ritagliarsi delle nicchie di “dominio quasi-assoluto”, delle “riserve di caccia”; b) in modo per lo più discrezionale, sono imposti lacci laccioli controlli e vincoli che tarpano le, peraltro deboli, ali dell’iniziativa privata. L’aumento del debito pubblico, poi, conseguente al mancato (checché se ne dica) controllo della spesa pubblica, richiede il parallelo incremento della tassazione e la necessità da parte della mano pubblica di rastrellare risparmio, così determinando una riduzione degli investimenti privati. Infine, il settore pubblico reagisce alla carenza di risorse riducendo, più che le spese correnti, quelle d’investimento. In poche parole: a) più generali e/o soldati (ed in questo contesto gli uni e gli altri pari sono …) intenti, più che a prepararsi alla guerra, ovvero a farla, ad amministrare sé stessi ed i loro piccoli, e meno piccoli, privilegi, in crescente distacco dai bisogni della collettività; b) un intreccio a volte inestricabile di interessi tra l’amministratore pubblico, il politico “di turno” e l’imprenditore che di privato ha solo il nome, che è protetto dalla concorrenza e che rischia ben poco non foss’altro perché alla fine, se perdite ci saranno, saranno “pubblicizzate”; c) più buche; d) meno imprenditori e meno lavoro (e lavoratori) nel settore privato “vero”.Al contempo, battaglioni di giovani marciano su e giù per l’Italia nella rincorsa dell’agognato posto fisso, probabilmente “accompagnati” da padri e padrini, pronti a fornir loro le famose sette (?) penne del film “Un borghese piccolo piccolo”, … e forse anche qualche altro ausilio, che comunque si rivela immancabilmente inutile.Infine, spuntano come funghi imprese associazioni circoli e quant’altro che forniscono servizi all’industria dei concorsi, dall’organizzazione (ad improbabile prova di raccomandazione di copiatura imbroglio e quant’altro) delle prove d’esame a quella di corsi di preparazione ai concorsi, la cui frequenza, nell’isola che non c’è (l’utopia appunto), sarebbe assolutamente superflua per dei laureati. Ma, si sa, queste attività generano “valore aggiunto”, vale a dire, a vedere la cosa dall’altro lato della medaglia, reddito ovvero prodotto interno, il cui livello è ancora, anche per l’assenza di criteri alternativi oggettivamente misurabili, assunto ad indicatore principe del benessere pubblico.Ho una proposta “minimalista” di cui forse varrebbe la pena valutare la fattibilità nel breve periodo. Perché non espletare i concorsi per gli enti locali della pubblica amministrazione su base nazionale o quantomeno regionale, così risparmiando soldi e tempo del settore pubblico nonché dei candidati e minimizzando la frequenza con cui assistiamo a (o sappiamo di) simili pièces che ci fanno venire in mente il titolo del famoso film di Pedro Almodovar “che cosa ho fatto per meritare tutto questo”?Certo, la via maestra per risolvere questa situazione, lo ripeto, desolante, è prendere il toro per le corna, ridurre il potere dello Stato-apparato, la cui pervasività, peraltro, ha avuto origine in esito ad un madornale abbaglio, un erroneo salto logico: quello che dalla sussistenza, indubbia, di casi di fallimento del mercato derivasse la possibilità di incrementare il benessere comune tramite l’intervento pubblico al momento della produzione del reddito. Quest’utopia è un trait d’union delle ideologie e delle politiche di regimi illiberali e, appunto, “totalitari, sia di “destra” che di “sinistra”, che hanno preso piede in Europa per gran parte dello scorso secolo, e della cui sparizione ancora, mi sembra, non abbiamo tratto tutte le conseguenze.Ma, sebbene sia ragionevolmente fiducioso nel fatto che a tale riduzione si perverrà prima o poi nel lungo periodo, sono altrettanto convinto che si tratterà di un processo estremamente lento: ed, ahimé, come chiosava John Maynard Keynes, “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Infatti, attorno alla difesa dello Stato-apparato si è coagualata, più o meno consapevolmente, una coalizione di politici, politicanti, clientes e burocrati, che in massima parte detiene essa stessa le leve del mutamento: e, come sappiamo, non possiamo certo aspettarci che i capponi si affrettino a far arrivare il Natale … E così giungiamo al limite fondamentale dei sistemi democratici di tipo rappresentativo: vale a dire, il fatto che, con il tempo, al loro interno si cristallizzano istituzioni ed organizzazioni nate per sopperire ai fallimenti del mercato ma il cui fine ultimo finisce con l’essere quello della loro propria vitalità, spesso ad ogni costo, e che diffidano del mutamento, qualunque sia, sentendolo quale un pericolo per quest’ultima. A ciò si può probabilmente porre rimedio con un più ampio ricorso a strumenti di democrazia diretta, avendo cura di non cadere, dalla padella alla brace, in tentazioni di tipo plebiscitario che in effetti sono estremamente antidemocratiche, ed invero storicamente si sono rivelate spesso quale l’anticamera delle dittature. La vera democrazia partecipativa, infatti, non è certo mettere di fronte “il popolo” a delle alternative preconfezionate, di costringerlo a scegliere tra Gesù e Barabba, ma consiste nel renderlo partecipe del processo di identificazione, elaborazione ed “impacchettamento” di tali alternative. Ma questa è un’altra storia, su cui forse vale la pena di riflettere, anche in relazione alla consultazione referendaria sulle trivellazioni nelle acque territoriali che avrà luogo tra poco più di una settimana ed in previsione di quella sulle riforme costituzionali nei mesi a venire.

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