di Alfredo Sanapo

Tempo fa, mentre scrivevo un articolo, mi sono imbattuto in parole dialettali sulle quali avevo dubbi in merito a dizione e significato. Così, ho cercato un ausilio e, tra i tanti glossari e incerti dizionari, ho trovato nella Biblioteca Comunale di Tricase un "Vocabolario dei dialetti salentini" di Gerhard Rohlfs (1892-1986). Era un filologo e glottologo tedesco che si è dedicato alla scoperta dei dialetti calabresi e pugliesi. La prima edizione (1956), tutta tedesca, era costosa, lussuosa e dunque appannaggio dei soli addetti ai lavori e cultori. Dal 1976, la Casa Editrice Congedo ha prodotto un'edizione italiana a costi notevolmente contenuti grazie alla tecnica della stampa fotomeccanica. La consultazione di un dizionario dialettale sembra una pratica obsoleta, ma la nostra questione linguistica è più che mai attuale: benché la diffusione della lingua italiana sia divenuta capillare, nella nostra zona persiste un tenace bilinguismo.

Gerhard Rohlfs

Da questa mia strana lettura, partita dalla consultazione dei tre volumi di questo vocabolario e fattasi interessante per la presenza di prefazioni, introduzioni e compendi sono emersi alcuni aspetti del nostro dialetto per me inediti che qui voglio condividere con i lettori.

Dell'immane lavoro di Rohlfs, frutto di rigorose indagini di campo e lunghissini periodi di permanenza qui da noi, balza agli occhi non solo la miriade di termini del nostro idioma, ma la loro insistente variabilità in zone molto vicine. L'autore fornisce anche una guida fatta di coordinate alfanumeriche (es. Tricase=M9, Castro=N5) a cui associare ogni singolo lemma: una sola variante vocalica implica già qualche chilometro di differenza. Una facilitazione e una piacevolezza nella lettura è garantita da foto e disegni di cui è corredata l'opera.

Nelle prefazioni si fa notare come tutti i dialetti del Salento, griko compreso, pur sembrando lontani hanno non solo radici comuni, ma hanno subìto la stessa evoluzione soprattutto nella grammatica. Pur essendo le etimologie frutto di un melange di latino, greco antico e termini volgari, le sintassi dei nostri dialetti sono molto simili al greco moderno: un fatto sorprendente se si pensa che la nostra terra ha avuto più scambi linguistici con gli Elleni ai tempi della Magna Grecia ché non in periodi successivi.

Questa somiglianza diventa lampante nei tre esempi che di seguito propongo.

1) Mentre la congiunzione "che" in italiano e greco antico ha una sola forma, nel nostro dialetto due il "ca" e il "cu" esattamente come il greco moderno.

2) L'assenza di congiuntivo e condizionale, sia nel dialetto salentino ché nell'attuale greco, costringe a formulare il periodo ipotetico utilizzando l'imperfetto sia nella principale sia nella secondaria introdotta dal "ci" (es. ci sapìa, facìa cusì).

3) La caratteristica più evidente è l'assenza del tempo futuro cosa contestuale a dialetto, griko e greco moderno: esso è reso da avverbi di tempo "crai", "dopu" e "poi" seguiti dal presente semplice o progressivo (es. crai sciamu a Lecce; dopu sta ddumamu lu focu). Un retaggio sicuramente non esente dagli influssi saraceni visto che nella lingua araba il futuro viene reso anteponendo una particella ad un tempo verbale curiosamente chiamato "non-passato".

Suona quanto mai strano come, nella nostra epoca nella quale ci affanniamo a partorire idee (peraltro mai a lungo termine) a favore di uno sviluppo per gli anni venturi, e nonostante le promesse elettorali che ci siamo sentite rifilarci non molto tempo fa per un roseo avvenire, non abbiamo speranze in quanto, comunque vada, il "Salentino" non ha...futuro.

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