di Alessandro Distante

A vincere, alla fine, è stato il Partito dell’astensione.

I dati di Tricase (vedi pag. 3) registrano un’affluenza alle urne pari al 35,59%; detto in altre parole, poco più di tre elettori su dieci si sono recati alle urne.

Quali le cause? La disaffezione alla politica fa trasparire una disaffezione alla cosa pubblica. Questo distacco viene vinto soltanto in occasione delle elezioni amministrative dove gli interessi in gioco sono più diretti.

Già, più diretti, che può voler dire lontani dagli interessi pubblici e più attenti al tornaconto: voto quel candidato perché è mio parente oppure mio amico o, peggio, perché mi ha promesso –bene che vada- che mi asfalterà un pezzo di strada, ovviamente davanti casa mia.

Quanto più ci si allontana da questo rapporto diretto e da questo legame tra interesse personale ed interesse pubblico, tanto più aumenta il partito degli astensionisti.

Andare a votare perché? Cosa me ne viene?

Fin qui le colpe dell’elettore che, in quanto parte di una comunità, sia essa cittadina, regionale, nazionale oppure europea, dovrebbe sentire quello che, una volta, si chiamava il dovere del voto.

Ma le colpe non sono, ovviamente, soltanto del cittadino-elettore.

La campagna elettorale per le Europee, a Tricase, ha registrato un vuoto pressocchè assoluto. Ho partecipato ad un comizio tenuto in Piazza Pisanelli da un mio amico di Bari. Ero solo in Piazza, oltre a chi accompagnava il candidato. Un altro comizio, tenuto di pomeriggio da Vittorio Sgarbi, è stato seguito da pochissime persone e ci si è soffermati più a raccogliere commenti (invero pochi) del c.d. Maestro su alcune opere d’arte tricasine, piuttosto che su questioni politiche.

Per il resto vuoto assoluto. E’ vero che non si votava per le comunali, né per le regionali e neppure per il Parlamento italiano, ma coloro che sono stati eletti e ricoprono quelle cariche perché non hanno sentito il dovere di animare il dibattito preelettorale?

Eppure è pacifico che la politica nazionale è condizionata fortemente dalle politiche europee; ed è altrettanto vero che i numerosi finanziamenti che giungono, attraverso la Regione, ai Comuni sono di derivazione comunitaria. E’ quindi evidente che non è indifferente se nel Parlamento europeo siedono alcuni piuttosto che altri parlamentari.

Eppure il silenzio assoluto.

Alla radice di questa disaffezione e di questo astensionismo non può non mettersi anche il famoso dire, divenuto ormai linguaggio dei politici, secondo cui gli elettori decidono e chi è eletto deve rendere conto del suo operato al termine del mandato. “Siamo stati eletti, fateci governare e, alla fine, ci giudicherete”.

Ma che significa “alla fine”? Questa rivendicazione e questa pretesa si è tradotta nel disinteresse durante tutto l’intervallo che va da una elezione all’altra. E’ un messaggio diseducativo perché allontana dalla quotidiana ed appassionata attenzione e partecipazione alla “cosa pubblica”.

E’ risaputo che se non c’è un allenamento alla democrazia, non si può esprimere un voto cosciente e, soprattutto, il non esercizio del diritto di partecipazione costante porta poi a non esercitare neppure il livello minimo di partecipazione, e cioè il voto.

Se a tutto questo si aggiungono la fine dei partiti, il venir meno dei luoghi del confronto e, non ultimo, l’immagine di politici che sono in politica non per curare gli interessi degli elettori ma principalmente i propri interessi o quelli dei loro amici, allora ci si spiega ancora di più il perché della crescita del partito delle astensioni.

E tutto questo che significa? Quale democrazia è mai questa dove una minoranza decide per la maggioranza? Certo è colpa della maggioranza silenziosa, ma questo può consolarci?

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