di Alessandro DISTANTE

C’è una “immigrazione” che “approda” in Salento non per trovare un lavoro, ma per vivere bene, godendo la bellezza dei nostri borghi, la purezza del nostra mare e la pace delle nostre campagne.

Da qualche anno Tricase (e dintorni) registra un particolare interesse da parte di turisti che, innamoratisi del Salento, decidono di acquistare casa (o altro) e di stabilirsi qui per i mesi estivi e, talvolta, anche per lunghi periodi dell’anno.

Per alcuni è una sorta di buen retiro, lontano dai clamori della vita e dallo stress; per altri, invece, la permanenza, più o meno breve, si trasforma in una nuova vita, da assaporare e da gustare fino in fondo, al punto da avvertire l’esigenza di offrire un contributo qualificato per il miglioramento del “nuovo mondo” che hanno appena scoperto.

Per dimostrare la fondatezza di quanto ho appena accennato, faccio alcuni esempi. Tanto per non andare lontano, questa estate vi sono state a Tricase due iniziative che comprovano come ospitalità ed integrazione possano coniugarsi fino ad innescare processi virtuosi di coinvolgimento. Mi riferisco alle due serate di raccolta fondi per il recupero di Torre Palane con protagonista la sempre amata Paola Pitagora, che vive buona parte dell’anno non lontano da Tricase. Mi riferisco poi alla Mostra sull’innaffiatoio, esempio di integrazione di arte, artigianato ed agricoltura: numerosi Artisti, “catturati” da Agostino Branca, si sono immersi nella nostra terra fino a realizzare una mostra che sta girando la Puglia all’insegna dell’uso razionale della risorsa acqua.

Ma poi, come non menzionare l’impegno non sporadico di Helen Mirren e di Taylor Hackford con la loro battaglia per gli olivi del Salento e, più in generale, la loro attività per far conoscere al mondo la nostra terra?

Ed allora: accogliere ed integrare per giungere ad una sorta di felice “fecondazione”; dare vita cioè ad una crescita che, partendo dalle bellezze e dalla avvertita consapevolezza dei rischi di degrado, propugni uno sviluppo che sia frutto di uno scambio di esperienze e di culture. Per dirla in altre parole, essere capaci di trasformare l’innamoramento di chi viene in Salento in amore per una terra, fino a farla sentire come la loro terra.

Una vecchia saggia insegnava che è necessario avere due braccia della stessa lunghezza: una per dare e l’altra per ricevere. E aggiungeva: talvolta è più facile dare che ricevere, perché il ricevere richiede umiltà.

L’integrazione passa attraverso la volontà di chi viene di inserirsi, con umiltà, nelle dinamiche del paese ospitante, ma richiede al contempo la volontà degli ospitanti di ricevere, con altrettanta umiltà, il contributo di chi arriva da fuori. Da questa apertura può nascere qualcosa di nuovo e di bello e, forse, una indicazione utile per un diverso approccio all’altra immigrazione, quella segnata dalle vicende tragiche di questi anni.

 

 

 

 

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