di Pasquale FERRARI

Giovedì, 17 agosto - Oratorio Giovanni Paolo II

A Depressa la “Sagra della Pasta fatta a Casa”: tra certezze dal passato e speranze per il futuro.

Anche quest’anno, la parrocchia di Sant’Antonio da Padova – con il patrocinio del Comune di Tricase – organizza l’appuntamento gastronomico dedicato alla pietanza più famosa della cucina tradizionale.

L’evento, che celebra il ventesimo anniversario, si ripropone immancabilmente con rigorosa puntualità, tanto da essere oramai considerato esso stesso tradizione. Consuetudine che non preclude, tuttavia, la voglia di innovazione. “Voglia di cambiamento”, si legge sulle pagine social degli organizzatori, pur con l’orecchio teso ad ascoltar “le voci di chi da vent’anni è presente in questa sagra” tanto che la promessa, neanche tanto velata – e che si è sicuri non verrà disattesa – è che “il gusto ed il divertimento saranno quelli di sempre”.

Come pure quello di sempre è il refrain che accompagna l’occasione, nobile negli intenti perché “l’intero incasso della manifestazione sarà devoluto al completamento dell’oratorio parrocchiale”.

Un oratorio monumentale, bellissimo, pensato – ancor prima che nella mente dei progettisti, gli architetti Antonio Longo, Giuseppe De Iaco ed il compianto Fernando Accogli, che lo hanno concepito – nella immaginazione di una collettività che ha sacrificato pro causa non solo quell’unica serata agostana nell’ultimo ventennio, bensì settimane, interi mesi che la precedevano, pur di vedere realizzata, completata ed utilizzata quella struttura, simbolo tangibile di un sentimento di aggregazione che pure quest’anno i numerosi ospiti attesi potranno respirare tra gli stand tra i profumi e gli odori delle pietanze che saranno preparate e consumate come sempre in enormi quantità. E d’altronde, fu proprio dal desiderio di aggregazione che nacque il primo oratorio, quello di Don Giovanni Bosco. Un ritrovo dove si faceva teatro, musica e sport e dove i giovani diventavano protagonisti di un'azione educativa sana e serena. Un intendimento, quello di Don Bosco, per il quale attività ludico-motorie rappresentavano un momento di unione tra oratoriani ed educatori, che è stato da sempre condiviso e perseguito dalla piccola grande comunità di Depressa.

Un paese intero che aveva pensato a questa grande festa estiva quale miglior occasione per raccogliere i restanti fondi destinati a completare il contributo (ammontante al 75%) della Conferenza Episcopale Italiana per la costruzione della struttura. Un paese unito che si è pure cimentato in un apposito referendum per individuare il nome da dare alla nuova costruzione: all’unanimità fu indicato il nome di papa Giovanni Paolo II, che in più occasioni aveva sostenuto che “l’oratorio è l’istituzione complementare alla famiglia e alla scuola”.

Anche per questo, specie dopo che negli ultimi anni la comunità ha dovuto metabolizzare l’assenza “fisica” della scuola, l’oratorio è oggi più che mai considerato il prolungamento, la propaggine, l’appendice del nucleo familiare, organismo sempre saldo.

Un’opera moderna (che si compone di ben otto aule per la catechesi, di un’aula magna per attività teatrali, convegni, tavole rotonde e servizi vari, finanche un campo di calcetto), che ci si augura venga sempre più spesso utilizzata secondo le idee di Don Bosco e per gli scopi per i quali è stata voluta e concepita. E realizzata da un paese intero ed unito.

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