di Giuseppe R. PANICO
La guerra fra Russia e Ucraina non accenna a finire, un’altra più grande, fra Cina e Taiwan si affaccia all’orizzonte e, alle tante guerricciole africane e medio-orientali, si è aggiunta ora quella in Sudan.
Intanto, la massiva migrazione via mare, né frenata, né controllata, né integrata, né condivisa continua ad esporre l’Italia anche alle insofferenze di altre nazioni europee che non accettano i migranti in arrivo da loro, grazie alla nostra debole e permissiva politica.
Né l’Europa ha gli strumenti per imporre una ripartizione che alleggerisca l’Italia da tanta nuova umanità, con ben diversa cultura e usanze, e ormai facile preda della criminalità e innesco per bombe sociali in tante periferie cittadine.
Lo schieramento geopolitico in Europa e/o Occidente, già ben definito, è stato nel frattempo rafforzato grazie all’adesione alla NATO della Finlandia e con un similare orientamento della Svezia.
Il mondo libero, aggredito in Ucraina dalla nuova Russia Imperiale, alleata con una Cina sempre più dittatoriale (insieme in espansione anche in Africa), ed appoggiata dalle tante oligarchie e dittature che controllano il resto del mondo, sembra reggere l’urto di chi ne mina il futuro.
Un futuro che è nella forza di quei principi che traggono origine dai valori diffusi e recepiti in Europa, prima dalla “Democrazia in America” (1835) di Alexis de Tocqueville e poi dal diffondersi culturale dell’” “Autodeterminazione dei Popoli”, sostenuta dagli USA anche a seguito della 1 G.M. Solidi pilastri del nostro vivere occidentale, della libertà di scegliere chi ci governa e con chi stare per far fronte comune a molteplici interessi.
Compresi quelli militari contro le minacce alla pace, mai debellate da una umanità che continua a scrivere la sua storia con la penna intrisa nel proprio sangue. Valori di pace che hanno potuto da noi svilupparsi, negli ultimi settanta anni, proprio grazie all’ombrello protettivo della NATO, ma poi, con la fine della guerra fredda, ritenuti da molti raggiunti e scontati e non più da difendere.
Accantonando così la storia e quel detto latino, collaudato da millenni ed oggi più attuale: “Si vis pacem para bellum” “Se vuoi la pace preparati alla guerra”.
Impegno da attuarsi anche con alleanze geopolitiche e geostrategiche e coltivando credibilità e fiducia internazionali. Valori questi non sempre ben recepiti da una politica e da una cultura nazionale spesso troppo divisiva e permeata, ben più che nel resto d’Europa, dal virus dell’antiamericanismo e antieuropeismo.
Un virus che trova facile diffusione anche nella carenza di una informazione/formazione più adeguata. Siamo infatti al cinquantottesimo posto nel mondo (appena sopra il Niger e il Ghana e un pochino meglio della Grecia) come libertà di stampa e ai primissimi posti in Europa come livello di ignoranza.
Siamo carenti anche di quel giornalismo investigativo che cerca nei fatti, più che nelle opinioni e convenienze, le verità di comune interesse e spesso osteggiato proprio da quei poteri che finanziano e condizionano i mezzi di informazione. Nessuno, dotato di buon senso vorrebbe la guerra, a maggior ragione chi, per dovere e formazione militare, è chiamato a sostenerla.
Anche per consentire a chiunque di parlare di pace, pur senza mai dire come credibilmente ottenerla e a che condizioni; senza rivolgersi a chi ha aperto con le armi e l’aggressione le porte dell’inferno; senza mai affollarsi e dimostrare sotto le ambasciate dei paesi colpevoli.
Come in ogni altra attività umana, anche per sostenere la pace, oltre alle parole, ci vuole il coraggio di agire nella giusta direzione, che non può essere quella della pace ad ogni costo, chini e sanguinanti di fronte ad un aggressore che continua ad aggredire.
L’Italia, da Costituzione, ripudia la guerra ma non certo la difesa, anche con le armi, dei propri valori ed interessi in un contesto di consolidate alleanze. E, pur fra le oscillazioni Ds/Sn del nostro pendolo politico, continua a tener fede ai propri impegni.
Oltre al sostegno all’Ucraina, si prevede ora la presenza aeronavale della nostra Marina Militare nell’Oceano Pacifico nell’ottica di contenere, insieme agli alleati, l’espansionismo cinese. Viaggiare sulle impervie strade della storia e della geopolitica comporta anche una buona “assicurazione” in caso di incidenti e relazioni utili in caso di bisogno.
Tale “assicurazione” ci costa circa 1, 5 % del nostro PIL (con impegno di arrivare al 2 %), molto meno di altre nazioni amiche. La Festa della Liberazione, celebrata lo scorso 25 aprile, ci ricorda, ancora una volta, che, per respingere dittatori ed invasori, mercenari e aggressori, purtroppo non bastano piazze, parole striscioni. Serve anche il coraggio di uomini e donne disposte al sacrificio e, come allora, il forte sostegno degli alleati.
E soprattutto un’arma vincente, da noi sempre più rara: l’identità di popolo, di nazione, di patria.