di Alessandro DISTANTE

La Città, in questi giorni, soffre per i divieti di transito su alcune strade; molte di esse, infatti, sono interessate dai lavori per l’installazione di impianti di videosorveglianza. “Era ora!”, dirà qulcuno. Bene ha fatto l’Amministrazione Comunale a montare questi impianti che, certamente, rendono più sicura e tranquilla l’intera Città.

Tutto ciò, allo stesso tempo, rende altrettanto evidente che la Città ha bisogno di protezione e che cerca sicurezza. E qui la problematica supera la sfera della politica locale e involge questioni che sono trasversali e profonde.

Un tempo, la sorveglianza era diffusa; se qualcuno sbagliava, specialmente se era un ragazzo o un adolescente, scattava quella sorveglianza di comunità. “Tocca te lu dicu: aggiu vistu figghiata ca’ non sa compurtatu filu bonu!”. “Grazie cummare ca me l’hai dittu, mo li stocco l’osse”.

Di tempo ne è passato e alla “sorveglianza di comunità” si è sostituita quella ipocritica o vigliacca riservatezza, stretta parente dell’omertà; ora, al rimprovero o alla segalazione della commare, non rimane altro che sostituire meccanismi freddi ed anonimi di macchine da presa che registrano tutto e tutti e magari, se non sono guaste, anche chi si comporta violando norme e regole del vivere civile, sempre che quelle condotte cadano sotto l’occhio vigile e instancabile, ma fisso, della telecamera.

La videosorveglianza si è resa necessaria anche per l’affievolirsi di quel Dio che ti vede (e ti punisce) che era dimensione essenziale in una società profondamente religiosa; certo, era una religiosità lontana dal Dio cristiano la cui divinità è un Padre buono e non un giustiziere, ma che certamente forgiava ad un autocontrollo che si sostanziava in una robusta coscienza personale e civica.

Era una coscienza che si traduceva in una buona educazione (altro termine desueto) che oggi, anche a causa dei cattivi maestri televisivi, ha lasciato il campo a quegli eccessi, a quelle bravate, a quelle imprese fatte per suscitare clamore e che alimentano un teppismo fine a se stesso.

Ecco perché l’installazione delle videocamere, se ci dà tranquillità, non ci deve fare stare tranquilli e pone, a tutti noi, una domanda di fondo: cosa si è fatto e cosa si può fare per passare dall’eterocontrollo all’autocontrollo?

Ben vengano quindi gli impianti di videosorveglianza ma, siccome non possono coprire tutto il territorio, è urgente affiancare la “sorveglianza di comunità” e, soprattutto, tornare a curare la formazione di coscienze autenticamente rette. Obiettivo? Guadagnare una vita veramente libera, senza bisogno di essere spiati e controllati.

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