di Giuseppe R.PANICO

Se vivessimo in un paese ove il denaro pubblico, proveniente dalle tasche di chi produce reddito e paga le tasse, fosse gestito in modo più produttivo, (lavori e servizi pubblici hanno da noi costi ben più alti che in altri paesi europei), e con una maggiore efficienza burocratica (tuttora fra le più basse in Europa) e per reali esigenze, riscuoteremmo più fiducia nella gestione dei fondi PNRR promessi dall’Europa che continua a riprenderci per riforme da fare e debito pubblico da risanare (il più alto in Europa).

Se vivessimo in un paese ove il territorio pubblico fosse considerato una ricchezza, gestita da amministrazioni ed enti pubblici, per creare progresso e sviluppo e non incuria e superficialità, potremmo anche dire di vivere in un paese che ha cura sia del suo presente che del suo futuro.

Se guardassimo verso mare e poi verso terra, scopriremmo che di aree pubbliche importanti ne abbiamo almeno due che, grazie a specifici progetti, eventualmente finanziabili con fondi PNRR, potrebbero consentirci una rigenerazione urbana e costiera.

Il primo è la solita valle del Rio, potenzialmente trasformabile nel più bel parco costiero del Salento orientale. Ora è invece una incolta pineta, il nostro gran canyon ove scorrono da decenni i nostri reflui. Ne permeano le antiche rocce, ne alimentano le insane verdi alghe marine e ne vietano la balneazione.

Espandono poi, con la locale corrente, le loro essenze verso Sud e Marina Serra e ne deprezzano il tratto costiero.

A cosa serve la nostra strana “procedura” di raccogliere in vasca le acque piovane, costosamente decantarle e poi distribuirle, non nei campi rimasti assetati e vincolati da tante valvole e tubi, ormai ferri vecchi, ma “mixandole” con i reflui già diretti al Rio e al mare? Per i reflui, basterebbe allungare un tubo verso il largo sul mare e scaricarli più lontano e non sulla riva, o fare come fanno altrove, ove non hanno, come discarica, né mare né bellezze naturali.

Molta politica ha fatto il diavolo in quattro per impedire il gasdotto TAP a Melendugno, ove turismo e impresa sono ora accolti, come in altre località salentine, con una bella bandiera blu.

Noi, con scarso successo, abbiamo fatto il diavolo in otto per quel “maestoso” rudere su Punta Cannone, ma poi non facciamo nulla per un piccolo “refluo-dotto” che ci sanifichi verso il futuro. Decantiamo spesso le nostre bellezze, ma copriamo con uno straccio sul sottopancia, il nostro migliore attributo sul mare ridotto a un bubbone.

Quasi fosse un peccato originale, dedicato a quei diavoli della leggenda sul Rio.

Il secondo è la vasta area della stazione ferroviaria, ormai “abitata” da binari morti, traversine decrepite, erbacce, fantasmi di passeggeri, vincoli urbanistici, ponticelli per un traffico da tempo antico e cadenti barriere antirumore.

Per pochissimi passeggeri, nessuna merce e altissimo costi, si mantiene una ferrovia che, nata in tempi di ben diversa mobilità, costituisce oggi solo una trincea verso le adiacenti frazioni. Riaffiora ogni tanto l’idea di una metro di superficie a…idrogeno. Si nobilita il nome, si elevano i costi, ma non cambia la sostanza se tante comunità collegate, non producono più né passeggeri né carri merci.

La nostra moderna mobilità a corto raggio gode di una altissima diffusione su gomma e di una fitta rete viaria. Il traffico scolastico, ora su ben più brevi distanze, si basa poi non più su treni e littorine da/per Lecce, ma su autobus FSE che rilasciano e prelevano quasi sotto casa o sotto scuola.

Quell’eccesso di area e binari morti potrebbe essere rigenerato come un nuovo grande e verdeggiante parco pubblico; per un vasto parcheggio, anche per il vicino ospedale, e per allargare via Lecce nel tratto che la fiancheggia.

Una Tricase che sogna un migliore domani su mare e su terra non può dibattere solo su belle facciate, ingombranti fioriere, marciapiedi a raso e profonde e pericolose buche su strade e discese a mare, ormai visibili anche dallo spazio.

E se, per la nostra rigenerazione urbana/ferroviaria, potremmo dare una occhiata allo scalo dismesso di Porta Romana a Milano, per quella costiera, basta guardarsi intorno, ove sventola la bandiera blu e ben più “blue economy” da… vocazione turistica.   

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