di Giuseppe R. PANICO

Tempi già molto difficili per la guerra al Covid.

Ci mancava la guerra Russia- Ucraina, con il diffondersi della crisi politico-militare e di tante umane sofferenze, a ricordarci che il mondo ruota da sempre intorno a geopolitica, flussi energetici e contrapposizioni culturali e strategiche.

In Italia, per una politica che non ha saputo provvedere alla nostra autonomia energetica, anche per il tracimare di ambientalismi ed ecologie, ne paghiamo di più le conseguenze, con gravoso aumento dei prezzi, attività che chiudono e povertà che avanza.

Problemi dovuti anche a grave disattenzione verso mali strutturali e conseguenti scelte programmatiche, con improduttiva ridondanza di sole parole e funzioni, spesso coperte dalla bulimia del consenso del giorno.

E così il Bel Paese, sia in piccolo che in grande, continua ad essere, oltre che bello ma povero, anche inaffidabile, sia in attacco ai propri mali che in difesa dei mali causati da altri.

Sia nell’ impiego dei fondi PNRR in prestito; sia nella pioggia di bonus, in regalo e scarsi controlli, a ricchi e poveri da uno Stato già tanto indebitato, sia ancora per gli scarni stanziamenti per Difesa/NATO/Forze Armate, ora in massima allerta militare in tutta Europa, mari compresi. Per queste, appena l’1% del PIL e non il 2% come sottoscritto, molto meno di altri paesi che dai romani hanno meglio appreso il: “si vis pace para bellum” (se vuoi la pace, preparati alla guerra).

Raggiunta una tregua con il Covid, ci rimane il “bellum”, scatenato da Putin con il virus della guerra e le sue imprevedibili conseguenze. In un mondo globalizzato e non ancora pacificato, anche un solo orso inferocito al polo Nord può provocare tsunami al polo Sud, a cominciare da economia e commercio.

Più gravosi in località del nostro Sud, prive di strategia, con popolazione in calo, malamente collegate e rinunciatarie, in un’ottica di “ecologia e povertà”, sia alla produzione locale di energia (eolico sul mare) che a un più diffuso e qualificato turismo.

Al turismo, ove riprenda, Tricase non pare offrire molto di nuovo, se non il “core business” di Lama/Pirandello/ACAIT ove non avremo più un grande polmone verde, la nostra” Villa Borghese” (Roma), per una Tricase che aspira ad essere capitale del Sud Salento, ma un nuovo “centro” cittadino con il piccolo parco, nuove residenze, uffici e servizi, un altro grande supermercato e uffici comunali che lasceranno il centro storico.

Meno alberi e verde per il pubblico e più pilastri e cemento per i privati, grazie anche a sentenze favorite da una politica che, tralasciando i suoi doveri, sa ben privarci dei nostri diritti.

Gli effetti collaterali sulle attività del centro storico vanno ora accentuandosi, non per colpe temporanee del Covid e del Putin, ma per il sorgere di “conflitto di interessi”. Con popolazione e consumi in calo, il nuovo centro non può che indebolire il vecchio, già per decenni trascurato.

Finanche in via Cadorna per i tanti vendesi/affittasi/vuoti e conseguente calo del valore immobiliare. Futura valorizzazione culturale, negozi e soprattutto movida già in contrasto con la ristretta abitabilità di tanti vicoli?

Ma, per avere successo, non si può prescindere da una ben più ampia frequentazione di origine esterna, attratta principalmente, come in tutti i comuni costieri, dal mare con relativa nautica e balneazione e dunque maggiore economia e ricadute sui consumi per movida, commercio, albergo diffuso in centro e cultura. Tricase, già paese di anziani e periferico, non certo di transito, non ben collegato (SS 275 e FSE), tuttora senza una strategia per il futuro e poco attrattivo per sostanziali investimenti, avrebbe dunque bisogno di un rapido cambiamento.

Più di struttura che di immagine, soprattutto di migliori e più attrattivi servizi e abitabilità verso la costa e sulla costa. Per superare la crisi energetica ed economica, il governo, tacitando l’eccessivo ambientalismo, sta riattivando le fonti nazionali, prima chiuse dalla imprevidenza degli eletti e degli elettori.

In passato, i nostri previdenti nonni, che avevano anche una diversa sensibilità per l’economia e la stessa guerra, avendola anche vissuta, per passare dalla solita frisa e pomodoro anche a pollo e patatine, senza contorno di troppi… “bonus” a carico della collettività, pensarono ad una Tricase come città di mare e non solo sul mare. Per il turismo, ampliarono la viabilità verso le due marine, ingrandirono il porto, realizzarono la piscina “naturale” a Marina Serra, definirono parcheggi a mezza costa, aree di completamento e sviluppo edilizio ed anche una litoranea alta.

Ma poi, l’avvento, anche in Regione, di una politica economicamente improduttiva, ne ha bloccato il proseguire. Finite, sperabilmente senza incubi, anche atomici, le preoccupazioni per i Covid e i Putin, per risollevarci non ci resta che riprendere tale strategia. E se poi, lontano sul mare fra navi e foschie, vedremo qualche pala eolica o piattaforma, sarebbe questo il nostro contributo al lavoro in loco e alla cura del male energetico nazionale.

Come anche alla pace, in una Europa e una Italia che non saranno più le stesse, perché le armi e l’invasione di Putin le abbiamo pagate anche noi, importando il suo gas (circa 45% del totale) e dormendo a lungo fra gli allori.         

in Distribuzione