di Giuseppe R. PANICO

Decisioni ed eventi del passato condizionano da sempre il nostro presente e incidono sul nostro futuro.

Soprattutto ove si parli di progresso sociale e sviluppo economico, sempre derivanti da una efficace interazione fra eletti ed elettori. Quando questa viene svilita per scarsa o non qualificata partecipazione, sfiducia reciproca e spirito critico immotivato, il potere degli eletti sovente tracima verso decisioni improprie, non prioritarie o inutilmente costose. Spesso idonee a mercificare l’azione politica, prima alle urne con il voto di scambio e poi con il “consenso di scambio”.

Ancor più in mancanza di concrete linee guida, quali i previsti piani di sviluppo o un più etico approccio alle leggi vigenti. In loro assenza, lo sviluppo del nostro Sud non può che limitarsi al vago ciarlare, protratto per decenni sugli stessi argomenti. Come conseguenza, con i nostri giovani in fuga verso il Nord o estero, emigrano nella stessa direzione anche i tanti disperati raccolti in mare.

La grave crisi demografica meridionale così si aggrava e ci riduce le speranze per il domani. Troppo assorta nei pensieri e nei poteri del suo presente, la politica, anche locale, tralascia il nostro futuro, se non per conservare il passato e fare musei dell’esistente. Interventi certamente utili a immagine e cultura ma, per pochi “visitors” e pochissimi utilizzatori di tante pubbliche risorse, anche immobiliari, utili per scopi meno passivi e ben più produttivi.

La disattenzione verso le priorità dello sviluppo continua a riportarci alla Sicilia del Gattopardo, ove il “cambiare tutto affinché nulla cambi” era il “credo” della politica, oggi diffusamente alimentato anche dai…” valori” della “Familismo Amorale”.

Ben osservati e poi diffusi con il libro “Le Basi Morali di una Società Sottosviluppata” del sociologo americano E. Banfield. Basi racchiuse nel:” Massimizzare i vantaggi materiali per il proprio nucleo familiare, supponendo che gli altri si comportino nello stesso modo e chi dice che non si sta comportando in tal modo sta solo mentendo”. Col durare di tali aspetti culturali nei partiti, nelle famiglie e poi in quella vastità di “famiglie allargate” fatte di monopoli, corporazioni, ordini professionali, lobby etc. con relativi privilegi, l’arte di conciliare il passato con le concrete esigenze per il bene comune di oggi e del futuro, stenta ad accedere nelle oscure botteghe della politica e del pensiero dominante.

Si allunga così l’elenco delle occasioni mancate, dei ritardi e degli sprechi e si scorcia ancor più quello dei sogni, degli investimenti produttivi, del senso di comunità e della stessa anagrafe cittadina. Continuiamo così a far parte della più vasta zona sottosviluppata d’Europa, che, pur dotata di potenzialità storiche, marittime, paesaggistiche e climatiche, non sa o non intende liberarsi di quel vorace tarlo economico e demografico che ne erode le fondamenta.

Attendiamo i fondi europei, nella speranza di saperli spendere meglio che in passato. Ma, come scrive un altro studioso americano, R. Putnam (Harward) nel “La Tradizione Civica Nelle Regioni Italiane”: “Molto più dei fattori economici, contano le ragioni storiche, le tradizioni di vita civile e autogoverno che affondano le radici nel passato “.

Evidentemente il nostro passato non si decide a passare e continuiamo ad essere quasi irredimibili, a posporre ogni serio programma, desertificando territorio e futuro, quasi un invito a farli occupare da altri.

In recenti studi geopolitici, proiettati a fra 30 anni, si è infatti paventato che questo nostro Sud, sempre meno abitato e ove meno protetto anche da una Europa indebolita e/o da una America che, stanca di studiarci e favorirci, è ora più preoccupata dalla Cina, possa essere “rigenerato” dall’avanzare imperioso di un Islam sotto bandiere turche, già ben insediatosi in Libia, Albania e Mare Nostrum per ricostituire l’Impero Ottomano. Memori di antiche scorrerie e della storia che spesso si ripete, forse anche per difenderci, abbiamo intanto restaurato torre Palane, il santuario di Marina Serra e le loro caditoie.

Oltre agli scongiuri non ci resta che aver fede e un po’ più di ottimismo. O chinare la testa ai nuovi padroni o perderla del tutto, come a Otranto qualche secolo fa.

O ancora, allenarsi alla fuga altrove e dalle proprie responsabilità. Lo hanno già fatto, senza più ritornare, prima da Napoli, per paura di Garibaldi e poi da Roma, per paura dei Tedeschi, i nostri reucci. Senza vergogna, potremmo farlo anche noi.

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