di Alessandro DISTANTE
Tricase non ha risparmiato energie e risorse per educare alla partecipazione: da Agenda 21 alle recenti iniziative sui 17 goal dell’ONU (indicato come modello dalla Regione); eppure sorgono dubbi sull’effettivo livello di partecipazione e sono dubbi che, doverosamente, dobbiamo porci, come se li deve porre l’intera Nazione visti i dati sulle affluenze nelle recenti amministrative.
Durante la campagna elettorale di Tricase si è sentito parlare di tavoli delle responsabilità e di processi partecipativi; quando presentai il confronto con i candidati sindaci, mi soffermai (ricevendo i fischi di un certo pubblico) su quello che già prevede lo Statuto comunale: i Forum di quartiere e i Comitati di frazione.
Sono istituti di partecipazione che garantiscono spazio ai cittadini all’interno delle decisioni più importanti dell’Amministrazione, oltre ad essere momenti di confronto e di proposta.
Quegli istituti di partecipazione sono rimasti però sulla carta e nessuna delle Amministrazioni succedutesi negli anni li ha mai attuati.
Ed allora perchè non ripartire da lì?
L’urgenza è tanto più forte se si considera non solo l’assenza di luoghi di incontro, la crisi dei corpi intermedi e della rappresentanza, ma anche l’isolamento che troppo spesso vivono gli amministratori.
Attuare forme larghe di partecipazione è anche utile per evitare che a giungere agli Amministratori siano soltanto istanze di gruppi o di corporazioni, siano esse imprenditoriali o professionali, del mondo della cultura oppure dell’ambientalismo, dei giovani o degli anziani.
Attuare luoghi e momenti di confronto “largo e ibero”, perché un’Amministrazione è tanto più efficiente quanto più è collegata con i cittadini. Un’idea da attuare perché prevista dallo Statuto e da vivere come forma di volontariato civico che educhi ad interessarsi di tutto e di tutti e non solo di ciò che interessa.
I care diceva qualcuno. I care diciamo tutti.