di Alessandro DISTANTE

Quando alcuni numeri addietro scrivevo delle spese dell’Estate tricasina (“Se paga Pantalone”) non intendevo contestare l’entità della spesa, ma porre l’attenzione su alcuni contributi che, a mio modo di vedere, mettevano in crisi l’idea stessa di associazionismo su base volontaria.

Durante l’emergenza Covid, e non solo (vedi anche pag. 2), abbiamo apprezzato ed apprezziamo l’impegno assolutamente gratuito di tante associazioni di volontariato tricasine, eppure, ancora di recente, vi sono state erogazioni di contributi pubblici ad associazioni pur esse di volontariato.

Il rischio è che il termine “volontariato” venga a definire genericamente tutto ciò che si muove nel sociale ed in questo modo che si offuschi l’idea forte del volontariato, quella della gratuità, la quale lascia il campo ad una realtà, altrettanto valida ma certamente diversa, che, per comodità, chiamo “volontariato retribuito”.

Niente di male, ovviamente, ma cosa ha a che vedere con il termine “volontariato”?

Simili questioni anche per il volontariato politico. Quando ho scritto dell’avv. Dell’Abate (Chapeau: vive la dignité”) segnalavo quel gesto come quello di un impegno politico che rifugge da tornaconti, dove la passione civica e la coerenza hanno il sopravvento su calcoli e convenienze.

Il punto è che invece anche in politica continuano a registrarsi episodi di incarichi e consulenze per chi, non raggiunto l’obiettivo elettorale, trova spazio in posti e ruoli di nomina politica.  

Questa rischia così di non essere la massima espressione della carità (tanto per citare un Santo), ma di diventare un investimento, una professione.

Se nel volontariato, sia esso civile o politico, non si torna a parlare di gratuità, il livello di cittadinanza attiva, tanto perseguito e sbandierato, rischia di rimanere basso o, addirittura, di peggiorare.

 

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