Metti una transenna a Tricase

L’estate volge al termine e già si tirano le somme di una stagione che, caratterizzata dalle alte temperature e dall’afa, difficilmente sarà dimenticata. Un’estate che ha visto il nostro Salento ancora una volta preso d’assalto da tanti turisti ai quali, oltre alla ormai proverbiale ospitalità, sono stati offerti momenti artistici e culturali di notevole spessore. Anche Tricase, dando seguito ad una sua ormai consolidata tradizione, ha fatto parte di questo panorama artistico-culturale con un ventaglio di iniziative, alcune delle quali veramente notevoli e pregevoli. Alcune le ho seguite anche io ed ho avuto modo di apprezzarle. Quella che per la sua originalità mi è rimasta più impressa, e in qualche modo mi ha fatto pure sorridere divertito, però, è stato un fuori programma. Provo a raccontarlo così come si può raccontare una favola. È la storia di una transenna, una delle tante sparse per le strade della città in questa lunga e calda estate tricasina. Infiocchettata con il solito nastro bianco-rosso, vestita con un grazioso, quanto vistoso, vestitino verde fosforescente attraversato da una vistosa spilla a forma di freccia, ha fatto strage di cuori , promettendosi, senza fare distinzioni di alcun tipo, ora a questo ora a quello. Promettendosi ma mai concedendosi, anzi sfuggendo a tutti solo un attimo dopo l’approccio. Così datata, eppure così spregiudicatamente maliziosa e ammiccante si giocava le ultime carte di una esistenza spesso grama, attirando le attenzioni di chiunque gli capitasse a tiro e contravvenendo alle precise disposizioni di chi l’aveva sbattuta su di una strada sin dalla giovane età. Una sorta di rivalsa la sua. La rivalsa di chi ormai non aveva più niente da chiedere se non un dignitoso collocamento a riposo. Pensava e meditava aspettando il momento opportuno per vendicarsi. E per non lasciare niente al caso, verificò la fattibilità del suo piano avvalendosi della comprensione di chi, in loco, l’aveva vista crescere. Qualche esperimento, niente di più. Come quando, in piazza Cappuccini, tirò un brutto scherzo a tutti gli automobilisti che, da viale Stazione attraverso via L. Cadorna volevano immettersi in via Roma per le diverse destinazioni. Furbescamente, invece di aspettarli all’incrocio del Calvario, si fece trovare all’inizio di quel tratto di strada interessato a veicolare il traffico verso via Roma, ahimè interessato da un grosso palco che ne occupava la sede stradale. Questa sua scelta comportò un po’ di ingorgo, un momento di riflessione per trovare una soluzione alternativa, qualche stilla di fastidioso sudore e, poi, una piccola manovra per riprendere il cammino. Oppure quella volta, quando, in piazza Del Popolo, si permise di fare “marameo” a coloro che da via Dei Pellai, percorrendo un tratto di via Pendino volevano immettersi in via Tempio per andare verso il mare. In quella circostanza obbligò i malcapitati a rifare il percorso attraverso via R. Caputo. Forte della buona riuscita di questi due esperimenti, decise di mettere in atto quella che sarebbe stata la sua migliore performance, quell’azione che da sola avrebbe potuto ridare un senso ad una vita vissuta all’insegna della più totale insoddisfazione. Stabilì il giorno e, decisa a colpire nel buio, verso le 22 si fece trovare, ammiccante più del solito, all’angolo di una strada. Con indosso il suo vestitino verde fosforescente e con la solita spilla, si piccava di segnalare un percorso alternativo per raggiungere Marina Serra. La notarono quattro giovani bresciani che si accostarono: un fugace sguardo e,poi, forse complice il buio, si fecero convincere e la seguirono. Dopo un po’,però, non la videro più e, persi, decisero di affidarsi al proprio istinto. La cercarono dappertutto girando in lungo e in largo. Se la ritrovarono, ironica e soddisfatta, là dove l’avevano lasciata, al termine di due estenuanti tentativi. Solo allora capirono la sua inaffidabilità e decisero di farsi tirare fuori da quel luogo di perdizione da due occasionali passanti. Una coppia di anziani signori che, ironia della sorte, erano stati vittime dei due precedenti episodi. Ascoltare la vicenda, condividerla e offrire loro la giusta soluzione fu un tutt’uno. Li invitarono a seguirli e... quasi increduli riuscirono, finalmente, a raggiungere la loro meta. Sono tre momenti vissuti direttamente. Li avrei tenuti per me, facendomene una ragione, se fossero rimasti tali. Invece, hanno trovato riscontro in altri casi analoghi ed allora mi è balenata l’idea di renderli pubblici, con semplicità e leggerezza, come fossero usciti da una favola. Con un pizzico di ironia, cercando di sdrammatizzare. Soprattutto senza cercare colpevoli ma, se possibile, soluzioni. Questo sì, nell’ottica di una accoglienza che se presente già al primo bussare rende più vero e apprezzato tutto il resto. Pure un momento di riflessione per non vanificare ogni un pur lodevole e fattivo impegno.

di Michele Sodero

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