di Caterina SCARASCIA
Europei vinti, voglia di tornare alla normalità, di esultare e gioire dopo quasi due anni di paure.
L’Italia ed il mondo hanno assolutamente bisogno di rientrare in una dimensione di ordinaria quotidianità, per cui ci sta pure che qualcuno superi i limiti e si lasci andare a comportamenti “fuori misura”. Psicologicamente è spiegabile, anche se non giustificabile.
Giustamente qualcuno richiama all’esercizio dello spirito critico, alla valutazione delle dinamiche, anche inconscie, ma poi purtroppo si ricade nei soliti discorsi sui massimi sistemi da un lato e, dall’altro, nella trappola tipicamente italiana: riflettiamo tutti, perché la responsabilità è di tutti, quindi di nessuno.
Onestamente sono molto stanca che argomentazioni costruttivamente critiche prestino il fianco a conclusioni generiche in cui, deducendo che il sistema generale è interamente inquinato, ci sarebbero poi poche speranze o possibilità di ripresa e di rinascita. Discorso, ovviamente, non solo falso, ma pericoloso. Credo invece che sia ora di smetterla di sparare nel mucchio.
Le colpe di una società in caduta libera, sul piano educativo, formativo, comportamentale, dalla nostra Tricase al…mondo (non voglio banalizzare!), ci sono eccome e, senza toccare macrosistemi (politica, economia, pandemia), volo basso, raso terra e punto il dito (ancora una volta!), contro famiglie (sistemi educativi per lo più inesistenti) e scuole (sistemi educativo-formativi allo sbando).
Vorrei, di tanto in tanto, che altre agenzie dal ruolo sociale fondamentale (parrocchie, associazioni culturali, di volontariato, centri ricreativo-culturali, specifici settori delle amministrazioni comunali) lo dicessero chiaro e tondo, senza giri di parole ed eleganti eufemismi. Capisco che qualcuno possa avere interesse a non farlo, ma poi, per coerenza, deve tacere su tutta la linea.
Per non correre il rischio di ripetermi (da quanti anni scrivo su queste tematiche???), focalizzo solo alcuni aspetti, i più problematici oggi, quelli che, a mio avviso, ci impediscono di ri-diventare “comunità”, vero sostrato antropologico di ogni città ( da “communitas”: appartenenza identitaria e reciprocità dell’obbligo donativo: dare e darsi.)
La globalizzazione informatico-telematica e culturale ha annacquato e reso invisibile l’etica della responsabilità, che è anzitutto individuale e personale. Un’etica che si acquisisce, in primis, nel nucleo familiare, insegnando ai ragazzi l’impegno, il sacrificio, il rispetto per tutti, oltre i torti e le ragioni, il valore della cultura, la faticosa solidarietà, la pratica del ragionare in termini di “noi”.
Insegnando con l’esempio.
Dove vogliamo andare senza questa base???
Credo che, in un mondo impazzito per il dio-pallone, la nostra attuale Nazionale almeno qualcuno di questi valori lo abbia fatto intravedere (il sacrificio, lo spirito di squadra, anche una certa dose di cultura); che poi sullo sfondo ci sia sempre il dio-denaro, beh, di questo dobbiamo dire grazie al neocapitalismo e a Silvio Berlusconi, che quel dio ha iniettato anche nel mondo del calcio.
Quest’etica della responsabilità ridotta a larva, accompagnata da una massiccia dose di individualismo e consumismo, che riconosce sempre e solo le colpe degli altri e dà valore solo ai beni materiali, è entrata poi nelle scuole a più livelli.
Qui, all’assenza di una cultura genitoriale che sia in grado di capire la differenza che c’è tra la scuola dei voti e quella delle competenze (una promozione risicata oggi non vale niente, neppure per i “raccomandati”), fanno da contraltare moltissime politiche dirigenziali prive di coraggio e molto attente all’immagine (numero di iscritti, assenza di bocciati, progetti pubblicitari, assenza di rogne burocratiche) e azioni di numerosi docenti che acriticamente seguono l’onda del momento e le imposizioni dall’alto, frutto di cinquant’anni di politiche assunzionali, che hanno fatto di questa istituzione un ammortizzatore sociale.
L’allarme lanciato in questi giorni da INVALSI (lo scatafascio delle prove, prevedibile da anni per come stavano andando le cose), a riprova di quanto prima detto, ha avuto un solo colpevole: la DAD! Roba da ridere, nel senso che la DAD è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso pieno e strapieno da decenni!
Mi fermo qui e torno all’inizio del ragionamento.
Se davvero vogliamo iniziare a cambiare le cose, dobbiamo compattarci come agenzie educative territoriali (scuole incluse) e puntare ad una azione costruttiva di politiche formative rivolte anzitutto alle famiglie.
Perderemo “clienti” (terribile parola in ambito educativo)???
Non fa niente, il risultato sul medio e lungo periodo è più importante di quello immediato.
E’ il primo, indispensabile passo: una coraggiosa rete territoriale di comunità, che dia valore ai ragazzi e ai giovani come “persone” e non come numeri.
Quando la politica non c’è (e non c’è), bisogna ripartire dal basso.
Siamo già al capolinea, il rischio è l’implosione.
Non abbiamo tempo da perdere