di Luca ESPOSITO

Oggi siamo combattuti fra il desiderio di voler ripartire, di ritornare “alla normalità”, e il timore che i tempi non siano propriamente maturi da permetterlo. Il graduale allentamento delle restrizioni può sembrare una  conseguenza forzata di mesi di reclusione, che ormai rischia di creare una situazione sociale incontrollata. Sorge un dubbio: siamo diventati più consapevoli di tutto ciò che abbiamo affrontato in quest’ultimo anno o ci siamo semplicemente assuefatti a una situazione oppressiva?

Dai più recenti fatti di cronaca, senza voler criticare in alcun modo la gestione degli stessi, non si evidenzia una maggiore consapevolezza delle persone, anzi l’esatto  contrario.

Il desiderio di riacquistare la propria quotidianità e le libertà, che prima davamo per scontate, ha portato a comportamenti che sfociano nell’eccesso: ristoranti affollati, parchi inondati e ogni forma di assembramento, anche la più articolata, sembra trovare voce in questa prima fase della ripartenza. Abbiamo, forse, già dimenticato i mesi addietro. In fin dei conti, non si dovrebbe neanche parlare di mesi bensì giorni dal momento che siamo da poco usciti da zone rosse rafforzate e chi più ne ha più ne metta.

Dalle grandi città ai piccoli borghi si riprende a uscire, a incontrarsi con sempre maggiore leggerezza; indice del fatto che vi è  la convinzione dilagante e, forse, conveniente che il pericolo non ci sia o sia stato sconfitto. In realtà, il marasma d’indicazioni e regole dovrebbe far riflettere che forse non siamo giunti oltre quella linea che dovrebbe essere il punto di discesa verso la fine di una situazione che ci accompagna da più di un anno.

Oggi stiamo attraversando una fase che è stata etichettata con il nome di “rischio controllato”, ma pur sempre di rischio si tratta. Basti pensare alla situazione attuale Indiana o, senza andare troppo lontano, considerare che ogni giorno continuano a morire persone in Italia per Covid-19 e i positivi superano ancora le migliaia d’individui. La campagna vaccinale, che ha rappresentato per mesi la luce in fondo al tunnel, prosegue e sembra ad oggi che si stia rispettando, seppur a fatica, la tabella di marcia.

A livello locale, non mancano i disagi: appuntamenti cancellati, vaccini insufficienti. Insomma, una situazione all’italiana che parte dallo Stato e giunge fino al singolo cittadino: in fondo è facile lamentarsi di un’amministrazione e addossare colpe a chi ha il “potere” di prendere decisioni, ma in questa vicenda ognuno di noi ha la sua parte di responsabilità e inconsapevolezza.

Responsabilità che se ci fermiamo un attimo riusciamo a riscontrarne l’assenza  nelle situazioni che ci circondano. Una coscienza civica e un’onestà dovrebbero suggerire che una ripresa è possibile, ma solo con una marcia consapevole verso la sconfitta del virus e la ripresa economica di un paese stremato. Quest’ultima è una delle note dolenti della pandemia che, oltre alla profonda e incolmabile perdita di vite umane, porterà i suoi strascichi per molti anni.

Il settore economico del paese necessità di ripartire, la ristorazione e il turismo insieme a tutta la filiera richiedono ossigeno e forse questa riapertura è anche frutto di questa esigenza. Ora come non mai il futuro e il rischio di un passo falso poggia sulle spalle di ognuno di noi in primis. Il mio monito è una speranza di ritornare quanto prima a riassaporare quella libertà della quale la pandemia da molto tempo ci sta privando.

Il mio vuole essere un invito a riflettere e a non farsi prendere dalla foga di ripartire con fretta a vivere  come prima.  Il tutto è possibile ma richiede che il c.d. rischio controllato non sfoci in un dilagare di assembramenti noncuranti e leggeri.

Il tempo sarà il metro di giudizio del futuro della situazione.

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