Cari fratelli e sorelle,
saluto con affetto tutti voi che partecipate questa sera alla celebrazione eucaristica.
Ringrazio per la loro presenza tutte le Autorità civili e militari.
 
In particolare, sono grato al Commissario
Prefettizio del Comune di Tricase, Dott. Guido Aprea, al Presidente dell’Ambito Territoriale Gagliano del Capo, Dott. Carlo Nesca, al Direttore Nazionale Caritas Italiana, Mons. Francesco Soddu, al Delegato Regionale Caritas Puglia, Don Alessandro Mayer, alla Soprintendente ABAP Brindisi, Lecce e Taranto, Arch. Maria Piccarreta, ai progettisti, Arch. Antonietta Ricchiuti e Ing. Andrea Morciano, la Ditta di Cesare Indino che ha curato i lavori, e naturalmente a Don Lucio Ciardo, Direttore della Caritas Diocesana.
 
Questa sera inauguriamo il Centro della Caritas Diocesana, sito nell’ex Convento dei
Cappuccini, recentemente restaurato. L’avvenimento ha una sua rilevanza sul piano ecclesiale, culturale e sociale. Viene infatti restituita alla comunità cristiana e alla società civile una struttura che ha ospitato una comunità religiosa e, in seguito, è stata adibita ad altri usi.
 
 
Sono veramente riconoscente alla Soprintendente e ai Progettisti per l’opera di restauro che è stata compiuta con intelligenza e professionalità. Situato in una bella piazza di Tricase, l’ex Convento fa bella mostra di sé e rende ancora più armonioso lo spazio pubblico.
 
All’importanza del valore artistico, si aggiunge la funzione alla quale la struttura è destinata: essere il punto operativo di tutta l’attività caritativa della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca.
 
In tal modo, si rende ancora di più evidente la dimensione caritativa di questa città di Tricase.
Nel discorso che ho tenuto nella sala consiliare il giorno del conferimento della cittadinanza onoraria alla mia persona, ho qualificato Tricase come “città di cultura e di carità”.
Infatti, all’Ospedale voluto dal card. Giovanni Panico ed egregiamente guidato dalle suore Marcelline e alla “Maior Caritas”, una struttura di accoglienza dei familiari che vengono a visitare i parenti degenti all’Ospedale, si aggiunge ora il Centro della Caritas Diocesana.
Si tratta di un ulteriore tassello che qualifica Tricase con “città della carità” e offre, all’intera comunità diocesana, uno strumento operativo di indubbio valore ecclesiale e sociale. 
 
Non sfugga il fatto che questa inaugurazione avviene in un momento particolarmente complesso e problematico.
Non siamo ancora usciti totalmente dalla pandemia del Coronavirus.
Durante il lockdown, la Caritas diocesana e le parrocchie hanno svolto un prezioso compito di vicinanza e di sostegno a tutti coloro che erano nel bisogno.
 
Questa opera di attenzione alle esigenze delle persone anziane, deboli e affette da problemi di varia natura, viene ora ulteriormente potenziata e meglio organizzata.
Il primo compito di questo Centro Caritas è di aiutare le comunità cristiane a vivere la spiritualità della carità. Prima di essere un’iniziativa da intraprendere, la carità è una spiritualità da coltivare.
 
Non si deve dimenticare che la carità è una virtù teologale, un dono infuso da Dio nell’animo umano.
La carità è lo Spirito Santo che abita la persona e la spinge ad agire con amore gratuito e misericordioso. La spiritualità della carità è passione per il Regno, purificazione di ogni speranza, nostalgia di un’armonia che trova il suo compimento in Dio Amore. Si tratta di una spiritualità di grande respiro che fa dell'incontro, del rapporto e del dialogo i suoi capisaldi.
Essa scorge la presenza e l'opera di Dio nelle realtà create, accetta la fatica del servizio meno
gratificante e si rapporta all’uomo e non solo ai suoi problemi, facendosi per le comunità parrocchiali proposta di stili di vita alternativi alla cultura e alle mode correnti.
In secondo luogo, questo Centro ha il compito di educare a vivere la carità avvalendosi della pedagogia dei fat e, in un certo senso misurandosi su di essi, non tanto nella ricerca esasperata di essere presenti e attivi ovunque, quanto piuttosto di dare testimonianza che Dio è
presente e operante nel mondo.
Il metodo della pedagogia dei fatti impegna la comunità a partire dai fenomeni di povertà, dalle sofferenze delle persone, dalle lacerazioni presenti sul territorio, per costruire risposte di prossimità, di solidarietà e per allargare la pratica della partecipazione e della corresponsabilità.
 
 
Occorre passare dalla carità intesa come elemosina, alla carità vissuta come
disponibilità all’ascolto, all’accoglienza e alla condivisione; dalla occasionalità degli interventi caritativi, alla costante attenzione del servizio ai poveri; dalla delega a persone volenterose, al coinvolgimento di tutta la comunità parrocchiale. 
 
Pedagogia dei fatti vuol dire «camminare nella carità» caratterizzando il percorso di concretezza e immediatezza, di competenza e passione, di progettualità e gratuità. In questo senso, la finalità pedagogica si realizza nel proporre e
propugnare una visione unitaria che rifiuti ed eviti ogni pericolosa schizofrenia e ogni contrapposizione ed indichi lo stretto e connaturale legame che abbraccia fede, preghiera e carità, parola, sacramento e testimonianza. 
 
In terzo luogo, il Centro deve promuovere una cultura di carità
aiutando a prendere coscienza delle dimensioni dei problemi posti dalla fame e dal sottosviluppo; esprimendo concrete azioni di solidarietà e creando un clima di accoglienza e di rispetto nei confronti della presenza degli immigrati dentro i nostri territori. In questo senso, occorre dare molta importanza alla formazione degli animatori e degli operatori della carità che, a titolo diverso, sono impegnati nella diaconia della carità e che devono mettersi a servizio dell’uomo con un’adeguata competenza professionale e spirituale.
 
Il Centro, infine, deve anche caratterizzarsi come strumento di coordinamento
delle azioni ecclesiali di carità avviando un processo di armonizzazione delle varie iniziative e tessendo una tela organizzativa delle opere di carità dell’intera comunità diocesana soprattutto durante i periodi di maggiore emergenza sociale. Non si tratta di vivere una carità come espressione di generosità generata solo dalla commozione, da situazioni di urgenza, da bisogni da risolvere, ma di uno stile di vita da assumere, da scelte da condividere a livello comunitario.
 
Occorre affrontare i problemi e camminarci dentro attraverso la contemplazione del volto di Cristo, nei crocevia delle contraddizioni e delle fragilità della vita di ogni uomo. Ciò esige che la carità venga pensata non i una modalità riduttiva, funzionale, gestionale ed emotiva. Non è compito della comunità cristiana essere la bella o la brutta copia dei servizi sociali pubblici.
 
Compito della comunità è generare dei segni di novità nei rapporti tra le persone e rispondere alle povertà, non nella forma dell’efficienza,
ma nella forma dell’efficacia, della conversione del cuore e del cambiamento delle strutture. Sostenuti dall’esempio di Cristo, la comunità cristiana deve abitare la vita e frequentare il territorio facendo emergere un tessuto umano e cristiano che accoglie e accompagna.
Essa deve promuovere uno stretto collegamento tra gli impegni di carità e i doveri di giustizia, mettendo in risalto il legame esistente tra il progresso dei popoli e lo sviluppo della pace nel mondo, la necessità di saldare insieme le grandi prospettive di cambiamento sociale e politico con i piccoli passi quotidiani e con la coerenza personale. Concludo questa esortazione omiletica con le parole di san Colombano: «Beata l'anima trafitta dalla carità!
 
Essa cercherà la sorgente, ne berrà. Bevendone, ne avrà sempre sete. Dissetandosi, bramerà con ardore colui di cui ha sempre sete, pur bevendone continuamente.
In questo modo, per l'anima l'amore è sete che cerca con brama, è ferita che risana.
Il Dio e Signore nostro Gesù Cristo, medico pietoso, si degni di piagare con questa salutare ferita l'intimo della mia
anima, egli che insieme col Padre e con lo Spirito Santo è un solo Dio nei secoli dei secoli. Amen
 

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