di Federico Longo

Dopo circa 6 anni passati lontano dal mio paese, la sciagurata epidemia da coronavirus mi ha dato l’opportunità di ritornare per un periodo abbastanza lungo. Lavoro per un’azienda milanese, a casa mia, da 5 mesi e questo sfortunato periodo mi ha permesso di riavvicinarmi alle dinamiche di Tricase, tornando a scrivere su queste pagine, da cui mancavo da più di 4 anni.

Purtroppo mi ritrovo a buttare giù pensieri sconfortanti e amari. Sono amareggiato perché, come scriveva il Direttore sullo scorso numero nel pezzo “Una classe dirigente”, non vedo a Tricase progetti per il futuro. Al di là di quelle che sono state le ultime vicissitudini politiche, credo che nel nostro paese manchi una visione di futuro da molto molto più tempo. I temi di cui si sente discutere in ogni dove sono sempre gli stessi e la fotografia scattata dal Direttore nel pezzo di cui sopra ne è la perfetta rappresentazione, dove si elencavano, in ordine, le <<iniziative di supporto al commercio, l’artigianato, all’agricoltura, alla pesca>> e poi sempre il famoso PUG.

Non vorrei essere frainteso, ma una città che vuole definirsi moderna non parte dai temi appena esposti. Sul serio si pensa di risollevare l’economia della città approvando un nuovo piano urbanistico? Sul serio si pensa di dare una spinta alle attività produttive distribuendo quei (pochi) fondi che ogni anno rimangono liberi a bilancio?

Dove è, tra gli obiettivi strategici della città, lo sviluppo dei servizi? Dov’è la banda ultra-larga? Perché non si parla del potenziamento degli asili nido comunali? A che punto siamo con le scuole internazionali e multilingua? Quanto ancora dovremo aspettare prima che i cittadini possano operare in autonomia sul sito del nostro Comune per assolvere ai più banali bisogni di documentazione? Dov’è la figura dell’esperto sui bandi e fondi europei? A che punto siamo con la rete dei comuni salentini sullo sviluppo del turismo?

La sfida economia e sociale oggi si gioca non solo sull’attrazione dei capitali, ormai sbilanciati a dismisura verso il Nord del paese, ma anche e soprattutto sull’attrazione del capitale umano. La sfida che i Comuni del Sud – Tricase in primis – dovrebbero cogliere è proprio questa: come far ritornare nelle proprie terre tutti coloro che avrebbero la possibilità di farlo, non perché già in pensione, ma sfruttando la rivoluzione tecnologica in atto, che ci consente, come dicevo all’inizio di questo pezzo, di lavorare per il Nord vivendo e spendendo al Sud.

Non parlo di futuro. Tutto ciò è già realtà e Tricase è tremendamente in ritardo su tutti i fronti. Se la strada intrapresa continuerà ad essere questa, brancolando nel buio e risollevando temi da Medioevo senza che la politica cittadina e la stessa società civile si risveglino da questo torpore, si arriverà ad avere una città che si specchierà nel proprio splendore, proprio come la vecchia Quercia Vallonea in prima pagina, senza curarsi ed evolversi, finché non ne rimarrà che un nostalgico ricordo dei tempi che furono.

Non voglio e non posso essere lapidario sul futuro che immagino per Tricase.

Ma la speranza non si coltiva da sé. E’ ora di levarsi, di agire con coraggio e determinazione perché se vogliamo, possiamo.

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