di Giuseppe R. Panico

Nella nostra cittadina avere un posto statale è stato spesso il desiderio di tanti. D’ altro canto, senza un sistema imprenditoriale di maggior rilievo, se non quello assistito dalla politica, il lavoro reale non può essere che limitato e così anche la propensione a crearne di nuovo.

Il lavoro si crea anche rendendo il paese più efficiente, moderno e razionale e dunque più attrattivo per ogni forma di investimento. Qualità, quantità e affidabilità dei servizi pubblici, compresa urbanizzazione, viabilità e pubblici parcheggi, sono ovunque fattori trainanti dello sviluppo.

Tricase poi con le sue marine, dotate di porti/approdi, non può che favorire il turismo anche attraverso un incremento di posti -barca e, in particolare, di posti-auto. Invece parcheggiarsi in città o nelle marine è ormai un problema che incide sul nostro benessere e pone limiti allo sviluppo.” I problemi bisogna saperli gestire”, diceva un politico meridionale che sembra aver fatto scuola fra tanti suoi poco onorevoli colleghi.

Naturalmente coprendo i problemi di parole e senza mai risolverli. Tralasciando i posti- barca che, invece di aumentare (con modalità da porti a secco per le imbarcazioni minori e dunque più spazio per quelle maggiori), vanno invece riducendosi per l’avanzare di una cultura in antitesi con lo sviluppo turistico-economico ed occupazionale, il problema dei parcheggi, in città e sulla costa, è quello che colpisce di più.

Ai circa diecimila nostri automezzi, bisogna aggiungere quelli dei paesi vicini per i quali Tricase è ormai uno “shopping center” e il luogo di svago e passeggio (lungomari compresi). D’estate poi ne arrivano altre miglia, dovuti al rientro dei tricasini emigrati altrove e dei tanti turisti. Con i suoi estivi divieti, transenne e lavori in corso, la nostra cittadina e la sua costa diventa così una trappola da cui uscirne e, sovente, con scarsa voglia di tornarci.  

Tante auto, spesso in circuito alla ricerca di un posto, tolgono poi spazio e salute a pedoni e ciclisti e, a chi vive fronte-strada, riduce anche il valore immobiliare della loro casa.

La carenza di parcheggi sulla costa disincentiva poi il benefico uso del mare da parte di tante famiglie. E’ ben raro vedere una attività economica che, per attrarre clienti, non cerchi di avere più vicini parcheggi, come è difficile trovare un paese, con una dilagante povertà e tanta emigrazione giovanile, che non cerchi di capitalizzare le sue risorse. Il guaio è sovente che chi deve decidere o ha il potere, il dovere e, sperabilmente, la capacità di provvedere, cerca di capitalizzare per sé o con scelte e ideologie improprie.

Anche perché, come diceva l’economista Cottarelli nella sua recente visita a Tricase, manca quel “capitale sociale” (o cittadinanza attiva) in grado di premere, spremere o indirizzare i suoi amministratori verso ben motivati obiettivi.

A Tricase, nella assenza di una più diffusa cultura pedonale/ ciclistica che contribuisca a ridurre il numero di auto, se non come conseguenza del calo della popolazione (di nastrini rosa o blu se ne vedono pochi; di arrivi fra loculi e cipressi tanti; di partenze di nostri giovani, fattosi migranti, ancor di più,) di soluzioni ve ne sarebbero abbastanza. Basta guardare la mappa del paese e delle marine per scoprire tanti spazi idonei a nuovi parcheggi.

Da quelli in disuso nella stazione ferroviaria, alle zone Lama e Lavari; dalla zona “Donna Maria” alle aree vicino all’ospedale, dalle ampie superfici libere e piane a ridosso del porto a quelle di un vecchio progetto a Marina Serra. Spazi di proprietà altrui ma che potrebbero essere richiesti dal Comune in uso temporaneo/stagionale per parcheggi, anche a pagamento, e senza variarne la destinazione d’uso. Intanto neanche un marciapiede che colleghi piazza Pisanelli alle aree-parcheggio sulla via del porto presso la scuola o semaforo.

Come neanche una fila di paletti dissuasori a difesa di tanti pedoni che da Largo S. Lucia si dirigono verso la farmacia, la zona commerciale ed il nuovo parco pubblico. Aspettiamo per altri decenni il PUG, auspicabilmente più permissivo almeno verso le marine? O che sorga anche da noi il “capitale sociale” e proficuamente si attivi verso un meno grigio futuro?

Ma prima che Tricase si riduca ad una “location” per i soliti pochi che continuano a capitalizzare, “decapitalizzando” lo sviluppo di una intera comunità, all’insegna di quel detto, economicamente suicida, di “Menu Simu e Meiu Stamo”. “Più scuola ai ragazzi del Sud e che siano loro a creare quello sviluppo che i loro genitori non hanno saputo dare”.

E’ una recente proposta che sembra anche un sofferto ultimo invito, da parte di illustri firme del mondo economico e culturale, a quasi una rivoluzione socio- familiare.

Forse arriva in ritardo perché nessuno ha finora formato i nostri giovani ad essere il “capitale sociale” di un Meridione e di una Tricase che, ammalati ancora di familismo amorale, lentamente si spengono. E non solo per troppe auto e ben pochi parcheggi.

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