di Giuseppe R. Panico

Oltre settanta anni fa perdemmo la guerra, perdemmo il sovrano e, con la Costituzione, conquistammo la sovranità. La sovranità appartiene al popolo che la esercita secondo la legge, comprensiva, su argomenti di rilevante interesse locale, anche dei referendum comunali, fino ad ora grandi assenti dalla nostra politica amministrativa. Assenti da tempo sono anche gli approfondimenti nelle sedi di partito (ormai scomparse), radi nelle commissioni comunali (poco convocate) e inesistenti in un Centro Civico (mai attivato) ove cittadini preparati, esperti o con significative esperienze personali, si associano per dare costruttivi pareri e contributi di pensiero.

Radi sono poi i dibattiti sulla stampa locale. Le decisioni importanti vanno così avanti per “partito preso” o convenienza del momento, senza più valide analisi delle alternative o per mera sommaria azione di qualche dirigente. Gli scarni dibattiti nei consigli comunali servono spesso a meramente avallare orientamenti già definiti, mentre le pubbliche specifiche conferenze della amministrazione comunale sono scarsamente partecipate anche dalle tante associazioni paesane (156). Pronte queste a chiedere supporto e pubblici finanziamenti, raramente inviano un proprio rappresentante. Si dice che la democrazia è il più avanzato sistema di governo, ma se poi non vi è adeguata cultura per applicarlo o si usano male o poco le relative norme, è ben difficile parlare di scelte o iniziative ben ponderate, sano impiego del pubblico denaro e di una credibile visione di insieme.

Ci si accontenta di fare incetta di fondi pubblici, spesso poi improduttivi o a beneficio di attività di mera immagine, o finanche parassitarie o per migliorare e recuperare l’esistente o per il… conza/sconza di lavori fatti male o sorvegliati peggio. Se si aggiunge poi l’assenza o evanescenza di una classe imprenditoriale, industriale, manifatturiera (le nostre attività sono prettamente commerciali) tale da influenzare o proporre adeguate scelte per il futuro, rimane una politica ove, non di rado, gli amministratori si ritengono più che eletti dai cittadini, unti da eccelsi poteri e non dal dovere di acquisire rapidamente adeguate competenze e responsabilità.

In mancanza di risorse umane da statisti come quelle inglesi di un Churchill o di una Thatcher, atte a farci vincere la guerra alle buche stradali ed agli sprechi e inefficienze di Stato, non ci resta che essere ben più attivi, vigili ed informati, esprimendo, ove occorra, il proprio pensiero anche attraverso i referendum comunali. Ma tale avanzato modello decisionale o consultivo è però spesso osteggiato da chi considera gli elettori (sovente a ragione) non sufficientemente “alfabetizzati”, se non per mettere una croce su una scheda elettorale o su nomi da loro suggeriti, o perché timorosi di perdere potere ed autonomia politica.

Con le ultime elezioni poi, non abbiamo nemmeno un onorevole paesano in grado di onorarci, se non con una efficace autonomia, con nuove fondate speranze. Finita la politica da “porcellum”, ci ritroviamo in testa la corona di spine del nuovo “rosatellum”, foriero di nuove instabilità, sfiducia internazionale ed europea. Nel nostro piccolo, non ci rimane che esplorare, almeno per le scelte sui grandi temi locali, il sistema del referendum comunale. Ci indurrebbe tutti, compresa maggioranza ed opposizione, a discutere, dibattere, ragionare, studiare ed opinare.

La cittadinanza si sentirebbe più coinvolta, sovrana e più vicina e partecipe al suo agognato sviluppo. Temi come, in passato, il Parco Otranto -Leuca (e boschetto di Tricase) e l’ACAIT o attuali come l’Area Marina Protetta,  lo sviluppo residenziale/urbanistico/turistico delle marine per rilanciare una pur minima economia (attraverso il PUG ), la chiusura alla nautica dello storico porticciolo di Marina Serra, l’alienazione o affitto, come succede altrove, di edifici e terreni pubblici inutilizzati/ abbandonati/superflui invece che farci carico del loro costoso risanamento e manutenzione e poi di improduttive o discutibili assegnazioni, meriterebbero maggiore attenzione come anche una democrazia più diretta.

Ci si avvicinerebbe di più (compresi giovani e scolaresche) ai temi dello sviluppo sostenibile e del lavoro che ne consegue e dunque alla buona politica. Per cambiare “Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso” diceva, quaranta anni fa, un altro statista, ma della nostra terra, Aldo Moro poco prima di essere brutalmente ammazzato. Forse dicendolo oggi noi tutti in coro ed adoperandosi in conseguenza, anche con una più coraggiosa, informata e costruttiva partecipazione ai problemi di questa nostra così piacevole ma povera terra, potremmo far risorgere le nostre speranze ed aver più fiducia nel nostro avvenire.

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