Il sud del sud

di Giancarlo Piccinni, presidente della Fondazione don Tonino Bello

Era un’ espressione che spesso mi ripeteva in macchina , quando ci si spostava da un paesino all’altro: il sud del sud.

Non coglievo però nessuna tristezza nei suoi occhi: e mentre io, ancora adolescente,  sognavo un riscatto della nostra terra  attraverso  nuovi modelli di sviluppo sulla scia delle ricche regioni del nord,  lui rimaneva disincantato dinanzi a tale prospettiva e il suo sguardo era  ancorato  alla sua terra, ai suoi colori, alla sua nudità, alla sua povertà.  

Don Tonino aveva già intuito che quella povertà, quella essenzialità era per tutti noi un privilegio e che forse, ben presto  anche il suo Salento sarebbe diventato ostaggio di quella “ ricchezza vampira “ che giorno dopo giorno  sottrae dignità e identità.

In questo sud, periferia della storia e della geografia, ad Alessano, all’epoca uno dei paesi più importanti del Capo di Leuca,  il 18 marzo del 1935 nasce Tonino Bello, da  Maria Imperato  e da Bello Tommaso. Il padre, maresciallo dei carabinieri, rimasto vedovo, si era risposato e con sé aveva portato Vittorio e Giacinto Carmine, i due figli che aveva avuto con la sua prima moglie, affidandoli alle premure e all’affetto della  sua nuova sposa che presto darà alla luce altre due creature, Trifone e Marcello. 

Il 29 gennaio del 1942 muore per morte improvvisa Tommaso. La madre, rimasta  vedova,  presto conoscerà la tristezza di altri due lutti: il secondo conflitto mondiale coinvolgerà nella sua tragedia anche questa povera famiglia. Il 9 settembre del 1943 Vittorio perde la vita nell’affondamento della corazzata Roma. E il  3 ottobre 1944 Carmine  Giacinto, radiotelegrafista sui Mas, muore improvvisamente come il padre, probabilmente a causa di un infarto cardiaco. 

In poco più di due anni il destino e la follia della guerra  si abbattono su questa famiglia portando il freddo della solitudine e della incertezza del domani. Il piccolo Tonino non aveva compiuto ancora dieci anni e già era il  fratello maggiore.  Da adulto ricorderà: “ Mio padre non lo ricordo. So che piangevo in segreto quando vedevo i miei compagni  delle elementari accompagnati a scuola dai loro papà “.

 Ma già da bambino, a causa della scomparsa dei due fratelli maggiori, il tarlo della follia della guerra  entrerà nelle sue ossa e lo accompagnerà sino alla fine dei suoi giorni: da vescovo conosce Ciccillo, un pescatore molfettese, anche lui era a bordo della corazzata Roma al momento del naufragio . Ciccillo riesce a salvarsi.  Don Tonino più volte si fermerà  con lui a rivivere il dolore di quei tragici momenti, quasi a voler donare al fratello una sua vicinanza e ad offrire a lui una promessa, la promessa di essere per sempre un uomo di pace.

 Un tributo che sente di dover vivere  anche per la sua gente  alla quale dedicherà parole bellissime:  “ Una gente – quella degli anni della sua infanzia – povera di denaro, ma ricca di sapienza. Dimessa nel comportamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto contadino , ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella casa e nel cuore.  Forse anche analfabeta, ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello spirito “.

(continua )

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