di Davide Indino La sera prima del compito in classe d’italiano, la mente era - assai facilmente - presa dalla ricerca di possibili tracce o argomenti o citazioni (che quelle, si sa, dove le metti ci stanno sempre bene) per sciogliere la calotta d’ansia.

Si apriva il giornale, ma lo si chiudeva subito perché - oltre alle calze “nascondi panza” - nulla ti sembrava davvero interessante.

Dunque si provava a seguire il telegiornale, ma non funzionava il collegamento o il microfono o il regista non aveva ancora finito il panino con la mortadella DOP.

Ci si provava a immaginare un tema possibile, ma saltavano fuori tante cose e l’indecisione fra le calze di prima e la Mucca muh-muh-muh cresceva.

“Ma l’ho preso il foglio protocollo? L’ho messo nella bustina trasparente? E le penne?”

Prosciugavamo la riserva ferrogallica mondiale.

Blu, nere, rosse, da grattare o con il tappino “prendimi e mastica! so di menta!”.

Alla fine il tempo vinceva su tutto.

Poche ore dopo ti ritrovi dietro un banco. Davanti una lavagna.

E l’orario. E la traccia.

“Descrivi il mondo che vorresti”.

Il mondo che vorrei? Io?

A cosa mai potrà servire che lo scriva, adesso?

Mastico il tappo. Sa di fragola.

Giù con la penna, sempre la stessa.

“L’immaginazione è la calligrafia dell’amore”.

Tranquilli, è una frase mia.

Inizio così.

 

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