Ci si aspettava qualche domanda e risposta fra candidati sindaci il 1 giugno in piazza Pisanelli. Invece...

di Giuseppe R. Panico I nostri 9 km di costa, il nostro mare e la nostra Tricase, anche quest'anno, non hanno meritato la “bandiera blu” come i nostri vicini (Melendugno, Otranto, Castro,Salve). Voluta dall'ONU (Nazioni Unite) e simbolo di civiltà, benessere, attrattiva turistica- economica e buona amministrazione, premia la qualità di nautica e balneazione ed il buon uso della costa e del mare. Riusciremo mai ad averla anche noi? Ci si aspettava qualche domanda e risposta fra candidati sindaci il 1 giugno in piazza Pisanelli. Invece, fra fogli volanti e parole urtanti, per le nostre marine nemmeno una parola.

E come meravigliarsi se i candidati invece che rivolti a Oriente verso il mare erano tutti rivolti ad Occidente verso Montesano, a giocarsi ancora al lotto politico pure i numeri della SS 275. Erano schierati uno accanto all'altro e, come i moai di pietra dell'isola di Pasqua, con la faccia rivolta verso terra e non verso il mare. Per chi i moai venerava, andò a finire come quasi sempre succede a chi dal mare si allontana o viene allontanato e alla “blu economy” (economia del mare) non si avvicina. Decadenza economica, anagrafica, culturale, scomparsa dei giovani e quindi della propria identità o sua riduzione ad un livello inferiore.

Lo avevano imparato propri tutti, Fenici, Romani, Greci, Vichinghi, Veneziani Pisani, che il mare è la più grande superstrada di cultura, potenza e ricchezza. Lo hanno imparato pure i nostri vicini, lavorando sodo per una bandiera blu. Forse da noi, faro culturale del Capo di Leuca, la cultura non guarda ai fari sulla costa e si limita a quelli spenti nella propria testa. E non si avvede che, per accenderli, non bastano certo le attività museali e gli shows musical-canori fronte-mare. E' una questione di DNA locale diceva, bofonchiando acida con nordico accento, una arcigna signora in difficoltà con il suo nuovo gommone lungo il trascurato scalo di Marina Serra.

Forse è un DNA mutato verso terra per paura di “mamma li Turchi” o per sudditanza medioevale verso un turismo aristocratico che, residente altrove, fa proprio il “mare nostrum” e la costa pure. Un DNA che non disdegna di chiudere alle barche a motore il porticciolo di Marina Serra, dopo averne da sempre coltivato il degrado. Altro che potenziarlo, dragarlo e ben gestirlo con più elevate capacità come “porto a secco” e attrattiva turistico- economica (la Regione Puglia ha stanziato di recente decine di milioni di euro per i porti turistici) . Che non disdegna di confinare nello stesso porticciolo, privo di ogni servizio e di più adeguato ricambio delle sue acque, le persone diversamente abili. Altro che considerarle nostre simili, favorendo ovunque il loro accesso.

Come pure presso strutture/associazioni già esistenti a Tricase Porto ove avviarli alle attività nautiche (come avvenuto altrove e come inutilmente richiesto). E i forestieri ospitarli nella scuola in disuso da trasformare in colonia/ostello giovanile rianimando così il Borgo Pescatori e la sua economia. Ma forse è l'esistenza nel nostro meridione di un numero di invalidi pari, stranamente, a circa il doppio del settentrione, a reclamare, quale estiva bagnarola, un piccolo “sea harbur”attivabile per gran parte dell'anno.

La logica dello sviluppo reale, in termini di servizi ed infrastrutture, sembra ancora lontana. Come pure trasferire la balneazione, ora sulle banchine del porto, sul retro di Punta Cannone, in un capace e soleggiato “lago di mare” con spiaggetta, ivi realizzabile con sovrastante panoramico parco pubblico al posto di quel rudere. E utilizzare così la sottostante banchina quale approdo occasionale di grandi imbarcazioni, come gli aliscafi da Otranto diretti in Grecia ma che da Tricase non possono passare.

Progettiamo invece un “inland harbur” (porto da...entroterra) nel vecchio macello. Non arriveranno le mareggiate ma forse le acque reflue delle vicine vasche che, già troppo care e troppe volte sbagliate, saranno prevedibilmente troppo piene, per scarso uso agricolo, e dunque da versare ancora in mare, magari con un refluo “canal grande” come a Venezia.

C'è molto da fare o da rivedere se vogliamo davvero il benessere di una reale “blu economy” e della bandiera che la favorisce.

Cominciando col girare verso il mare le “teste di moai”, fatte di pietra locale. Ma ci vorrebbe forse un Churchill o una Thatcher, per avere, fra cinque anni, una Relazione di Fine Mandato della nuova amministrazione all'insegna del blu, con più differenziata (ora un misero 30%,), meno debiti, più servizi e più imprese. Purtroppo nel Meridione e lontano dalla Perfida Albione (inghilterra), agli statisti preferiamo i trasformisti.

Alcuni considerano periferia pure le marine e, insieme alle frazioni, da gestire con un “assessorato alle periferie”. Il mal di mare politico sembra dunque diffondersi. Forse meglio, se non un “Magistrato alle Acque” come un tempo a Venezia, un valido “Assessorato alle Marine ed al Turismo” La decisione a breve ai nuovi eletti. Intanto il 10 giugno ricorre la festa della Marina Militare che, con tanti tricasini in divisa blu, ci protegge su mari vicini e lontani ( la nostra economia , per circa il 90%, viaggia sul mare).

L'associazione ANMI la celebrerà nel tardo pomeriggio presso la chiesa di Marina Serra. E' la prima triste “festa” da che i marinai di Tricase, in esito ad un silente e sinistro “mal-consiglio”comunale, hanno dovuto traslocare dalla loro storica sede.

A differenza di dove sventola la bandiera blu, sembrava quello dei moai in pietra: tutti muti, immobili, con “spallucce” alle storie di mare e agli anziani marinai.

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