di Luigi Marcuccio Un’attitudine atavica, della quale qui di seguito darò qualche esempio, sembra aver ripreso piede a Tricase: quella dell’”intellettualismo”.

Qualche giorno fa, su di un pagina di facebook dedicata alla politica tricasina, viene rispolverato un vecchio articolo a firma di Eugenio Scalfari, ove la ragione dell’imperare di demagogia e populismo in Italia è enucleata nell’asserita assenza, da circa vent’anni, di intellettuali alla guida dei partiti e della cosa pubblica. Insomma, la tesi è che ci vorrebbe Platone ...: evidentemente, Socrate, anch’egli qualche tempo fa “precettato” a Tricase a furor di ... condottieri di opposti schieramenti, non è bastato ...

Pochi giorni or sono, nel “cappelletto” di un post su facebook con cui si annuncia la presentazione di alcuni scritti da parte di un “opinion giver” (che sinceramente, e lo dico senza vena polemica, non so quanto sia “opinion maker”) locale, è tracciato un ardito spartiacque tra “gli accademici”, depositari e divulgatori di un sapere “codificato”, e “gli intellettuali”, dotati, per così dire, di quell’ésprit de finesse che consent(irebb)e loro di essere non solo il proprio tempo nel modo migliore ma anche migliori del proprio tempo. Peraltro, questa sottile disquisizione sorvola su una questione: se gli intellettuali di cui si parla, siano, o meno, da annoverarsi tra quegli “intellettuali della Magna Grecia” che l’hanno fatta da padrone nel Mezzogiorno, e forse ancora lo fanno.

Sempre in questi giorni, un politico, più che di lungo corso, di lunga corsa (con varie soste nell’una e nell’altra chiesa) alla ricerca dell’agognata “terra promessa”, intervenendo su di un social, dà ad un altro internauta dell’ignorante “nel senso latino di ignoscere”. Mosso dalla sensazione che nella faccenda c’è qualcosa che non quadra, mi accerto che “ignoscere”, in latino, significa “perdonare”: insomma, un “nel senso di” senza senso.

L’altro ieri, nel leggere una delle “pillole di programma” elaborate da un movimento politico ai nastri di partenza del prossimo agone elettorale, leggo il nome di Zygmunt Bauman. Costui non è Carneade ma un filosofo e sociologo, recentemente scomparso, emarginato a partire dal 1953, e nel 1968 costretto all’esilio, dal regime comunista polacco a seguito di una purga etnica mascherata ideologicamente, ma precedentemente parte integrante della nomenklatura di stretta osservanza stalinista. Bauman, dopo un soggiorno in Israele, si stabilì in Inghilterra, ove studiò in un primo momento la lotta di classe; a partire dagli anni ’90, poi, forse anche per la progressiva caduta in desuetudine di tale tema, si è dedicato all’analisi della società contemporanea, da lui definita “modernità liquida”, caratterizzata a suo dire dalla preminenza del sistema capitalistico, un alto grado di sviluppo materiale, la privatizzazione dei servizi e la rivoluzione dell’informazione. Ebbene, l’apprezzamento di quanto, della storia personale e del pensiero di Bauman, sia rilevante nel contesto dell’elaborazione di un programma elettorale comunale a Tricase, lo lascio al lettore. In breve, come cantava Arbore alcuni lustri or sono, siamo al “lo diceva Neruda, che di giorno si suda ... ma la notte no” .... E mi fermo qui perché il seguito della canzoncina (per chi ha la memoria corta, “lo diceva Picasso, che di giorno mi scasso, ma la notte no”) proprio non calza agli spettacoli d’opera buffa cui chi ha tempo e voglia liberamente assiste (con facoltà di partecipazione diretta, come nelle migliori pièces del pirandelliano teatro nel teatro) di questi tempi sul palcoscenico che ha quale sfondo Palazzo Gallone: tutto si può dire, ma che ci si tedi nell’essere lì, tra gli spettatori o sulla scena, no !!! E per affondare il coltello nella piaga, mi sembra che, nel caso di quelle parti del programma elettorale di quel movimento che finora sono state rese note, sia più appropriato il riferimento alla stato liquido “gassoso” piuttosto che a quello liquido: tutto ciò nel dare atto del fatto che finora quel gruppo è stato uno dei due unici, se non l’unico, a porsi il problema di andare oltre “le grida” che “ci siamo anche noi” e, forse, che “vogliamo cambiare” ... e basta!

Recentemente, uno studioso locale si è avventurato nell’analisi di temi di storiografia “maggiore”, in voga un paio di decenni fa ma attualmente non molto gettonati, a partire dall’analisi di vicende inerenti la propria storia familiare: cosa questa, se non altro, prona alla critica di un’assenza di obiettività nell’analisi. Non solo, la ricostruzione storica effettuata dagli uni ha generato poi critiche da parte di altri e conseguente dibattito, in una sorta di avvilente auto-avvitamento: insomma, questi signori (non importa se intenzionalmente) “se la cantano e se la sonano” da soli.  

Ma tali fatti, o forse meglio aneddoti, hanno un leif motiv un po’ meno nobile di quanto possa sembrare a prima vista. Essi hanno l’effetto, se non lo scopo, di (tentare di) accreditare qualche amico, ovvero se stessi, quale “l’uomo della provvidenza”, che salverà Tricase dai suoi mali se sarà richiesto del suo intervento; e le incursioni nel terreno dell’haute (???) culture sono il, direi maldestro, tentativo di trovare argomenti per consacrarlo.

Dopo queste scorpacciate di filosofia spicciola, ognuno dei capizzippu (che dire capibastone sarebbe un’iperbole ...) sia “tradizionali” che “nuovi” ovvero “emergenti” ovvero “alternativi” tira fuori dal cilindro nomi di “salvatori della patria” (in realtà personaggi opinati “malleabili”), proferendo parole di amore nei confronti di Tricase e dei cittadini, sia a nome proprio che del suo “investito”. E già questo mi preoccupa, perché, per dirla con una boutade di Sergio Ricossa, “"Basta politici che dicono di amare il prossimo. Io da loro voglio il rispetto, non l'amore". Ma vi è di più. In realtà l’obiettivo di questi signori è il rafforzamento del controllo nell’accesso alle loro chasses gardées, ritenuto necessario visto che la fauna venatoria si è, di molto, ridotta. D’altra parte, per effetto della diffusa percezione del diradarsi di questa, il potere dei “magnati”, fondato sulla dispensa, a destra ed a manca, di licenze di caccia in posti “buoni”, vacilla. Ma ciò, in congiunto con il fatto che c’è sempre meno erba ed è empre meno verde, determina un’ulteriore flessione nel livello di controllo suddetto, quindi un aumento della conflittualità tra i satrapi, e così via.

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