di Alessandro Distante Voglio scrivere “Di getto”. La presentazione della raccolta di scritti di Alfredo De Giuseppe, svoltasi nella Sala del Trono domenica scorsa, ha offerto lo spunto per un vivace dibattito, degno di essere ripreso.

Ho contestato e contesto una lettura sulla storia recente di Tricase guidata da una logica nostalgica, rivolta al passato, ma deconstestualizzata e, per ciò stesso, fuorviante.

Trovo inaccettabile richiamare esperienze -pur valide socialmente, culturalmente e politicamente- e riproporle o meglio indicarle come unico valido esempio di partecipazione civile e popolare, se non si tiene conto del contesto storico, dell’epoca e dell’oggi.

Prima i partiti si caratterizzavano come pesanti e strutturati (oltreché pensanti) ed i luoghi del dibattito erano, oltre a quelli istituzionali, esclusivamente quelli tradizionali delle assemblee pubbliche.

Oggi tutto è cambiato: i partiti sono ben altra cosa ed i luoghi di discussione sono più virtuali che reali; le contrapposizioni ideologiche, brutte ma rassicuranti, sono venute meno da tempo.

Ed allora: è mai possibile mettere a confronto due periodi e, per esempio, due periodici in un contesto radicalmente cambiato?

Gli “strumenti di lotta” di una volta possono essere riproposti e rimpianti oggi? E poi: il “nemico” da sconfiggere può oggi identificarsi in un Potere ben individuato che –secondo l’ipotesi accusatoria- gestiva e gestisce un sistema clientelare?

Oggi i Partiti non esistono più nella forma pesante e pensante e non sono il luogo di decisione delle sorti di un paese, sempre più guidato da leader più o meno carismatici che anche a Tricase si spartiscono il territorio; il Potere, oggi, ha luoghi, spesso nascosti ed esterni, dove tessere le trame delle sorti collettive.

Nella analisi nostalgica del ricordo dei “beni tempi andati” colgo un rischio ancora peggiore: il non riuscire a scorgere quei germi di speranza che non devono essere soffocati ma valorizzati.

Non tutto va bene, siamo d’accordo; ma neppure tutto va male!

Ed allora non si può non vedere in quanto accaduto in questi dieci anni qualcosa di importante, altrimenti si rischia di far morire la speranza che è quella che dobbiamo trasmettere ai giovani.

Come si fa, ad esempio, a negare che Tricase ha una realtà associativa ricca e qualificata, se è vero che una Associazione ha combattuto e vinto una battaglia (condivisibile o meno) sulla 275 e che tutto ciò è accaduto malgrado le Istituzioni o contro di esse?

Come si fa a negare che Marina Serra è stata valorizzata da un’iniziativa come Alba in Jazz, voluta dall’Amministrazione Comunale?

Come si fa a non dire che si è diffuso l’interesse al bene comune se è vero -come è vero- che giungono in Redazione tante segnalazioni su discariche abusive, parcheggi fuori posto, inciviltà varie? E l’elenco potrebbe continuare.

Mi chiedo: è mai possibile che quando si mettono in evidenza le positività si debba essere tacciati di superficialità o, peggio, di servilismo nei confronti del Potere?

Il giornale che dirigo, pur con tutti i suoi limiti, vuole essere (e forse lo è) un giornale della città della quale vuole mettere in evidenza anche quello che c’è di buono e di valido; non ha come mission quella di scardinare un sistema di potere, ma di essere utile alla comunità.

Al di là delle facili e comode semplificazioni, vi deve essere lo sforzo di rappresentare una realtà vera, ben consapevoli –come ascolteremo nei prossimi giorni- che dobbiamo sempre interrogarci su cosa sia la verità.

Ed allora: nell’interesse di Tricase, abbandonati i luoghi comodi e le giustificazioni rassicuranti, costruiamo la storia coniugando idealità a pragmatismo; scegliamo la parte construens a quella destruens; veicoliamo le idee con i tanti mezzi a disposizione, facendo tesoro prezioso delle esperienze passate ma smettendola di mitizzarle; con coraggio analizziamo le questioni e offriamo le soluzioni, ma responsabilmente, senza puntare solo il dito contro gli altri così mettendo a tacere la coscienza.

Dobbiamo avere, insomma, la forza di uscire dallo stato di minorità –che tanto ha penalizzato il Sud- e diventiamo –per dirla con il Filosofo- adulti, per non rischiare di ritrovarci, senza accorgercene, già vecchi.

 

 

 

 

 

 

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