di Ercole Morciano Mi dispiace che il mio libro Due tricasini nelle terre delle foibe (1943-1945)abbia potuto provocare una serie di accuse tanto gravi quanto non dimostrate. Inizialmente non volevo intervenire, ma poi ho deciso di farlo soprattutto per chi non ha letto il libro, e rischia di essere fuorviato ingiustamente, e per un sentimento di pietas verso le persone coinvolte. Tralascio il tono apodittico del mio recensore, ovvero di possessore delle verità ‒ neanche il Papa lo usa più ‒ ma è significativo evidenziarlo per comprendere l’approccio dato alle sue affermazioni.

L’accusa più ingiusta riguarda il presunto revisionismoda cui il libro sarebbe infettato; e non è vero: a p. 15 io stesso scrivo che non c’è alcuna «volontà di fare revisionismo». Chi ha letto il libro sa che in nessun passaggio, in nessuna pagina, in nessuna forma, vi è adombrato un anche minimo giudizio positivo sul fascismo, compresa la Repubblica Sociale Italiana, tale da ribaltare quello negativo assegnatogli dalla storia.

Veramente subdolo è l’aggettivo “strisciante”, perché presumerebbe da parte mia una sorta d’imbroglio voluto:il mio libro non è un testo ideologico, né un libro di storia, vuole essere il racconto della vicenda di due persone, che combattevano sì dalla parte sbagliata, ma erano due tricasini che stavano da quella parte come tanti altri italiani, né eroi, né vigliacchi e come tanti altri italiani sono morti. Pertanto non c’è niente di strisciante. Le storie sono infatti documentate(altro che “lasciato prendere la mano da affetti parentali”); i documenti sono allegati o vi sono le note di rimando per chi volesse consultarli.

Forse,da alcuni ideologi,il libro sarebbe stato più accetto se i due tricasini, camicie nere, fossero risultati criminali di guerra, stupratori, aguzzini, ecc. ma io non potevo scriverlo, perché non c’è alcun documento o prova o che costituisca in tale direzione. In termini generali ho scritto a p. 24 sulla repressione degli occupanti nei territori slavi - e fu dura - ma ciò in ogni caso non giustifica la barbarie delle foibe e della pulizia etnica. Paragonare pertanto Caloro e Morciano a “un componente delle SS o a un carnefice dei campi di concentramento”è veramente aberrante oltre che ingiusto nei loro confronti.

Sulla pietas. Sono stato accusato di aver strumentalizzato le foibe per suscitarla: e non è vero. Già in IV di copertina, quindi leggibile dal potenziale lettore quando prende in mano il libro, c’è scritto che Morciano morì in combattimento (e all’interno viene precisato: mentre era di scorta a un autoveicolo dei vigili del fuoco che trasportava a Trieste le salme di otto italiani infoibati a Comeno) mentre Caloro, a guerra finita, fu prima imprigionato dai partigiani di Tito e poi infoibato. Chi ha letto il mio libro sa che sulla criticata pietas (sentimento dell’anima, per me senza aggettivi) a p. 15ho riportato obiettivamente anche la posizione di quelli che riconoscono la pietas religiosa a tutti,mentre negano la pietas civile a coloro che morirono combattendo dalla parte sbagliata.

Per quanto riguardale ragioni per cui i due tricasini scelsero di combattere dalla parte della Repubblica di Salò, con Mussolini, ho cercato nel libro di analizzarle, ma non c’è una pur minima condivisione o giustificazione di sorta; e chi ha letto il libro lo sa benissimo; basta andare a p. 48 per Marciano e alle pp. 81-82 per Caloro.

Un’ultima considerazione. Alfredo De Giuseppe si preoccupa che “giovani poco adusi alla lettura della storia del Novecento”, leggendo il mio libro,possano diventare filo-fascisti. Io invece non ho questa paura; ho fiducia nella capacità critica dei giovani e pertanto li invito a leggerlo,andando oltre i preconcetti ideologici e i dogmi non-scritti di un’interpretazione storiografica che ha fatto studiare per decenni gli studenti su manuali di storia nei quali le foibe non venivano neanche menzionate, e a conoscere le storie di due tricasini, né eroi né vili, in un difficile momento storico per loro e per l’Italia.

Concludo promettendo che su questo argomento non tornerò più, perché non mi piace polemizzare sulla stampa o su altri media.

 

 

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