di Alessandro Distante
E’ da tempo che hanno scoperto il Salento.
Ed è sempre più frequente che il Salento scopra loro. Helen Mirren a Tiggiano e Staffan de Mistura a Depressa sono ormai diventati di casa.
Da qualche anno la famosa attrice, premio Oscar e tre volte Golden Globe, è diventata di famiglia a Tiggiano ma anche a Tricase; del resto il primo incontro lo ebbe proprio con la nostra Città quando venne per una edizione del SIFF.
Il Salento la colpì a tal punto da prendere casa e trascorrere molti mesi dell’anno, insieme al marito, l’altrettanto famoso regista Taylor Hackford, quello di Ufficiale e Gentiluomo tanto per intenderci.
Staffan de Mistura, invece, fa casa a Depressa, nel centro storico di un paese abbandonato da molti ma scoperto da chi ha occhi attenti al bello.
Quel che più interessa sottolineare è che la loro presenza è diventata una presenza attiva e propositiva.
Quest’anno –tanto per non andare lontano- la Mirren ha preso una bella iniziativa per la pulizia delle strade di campagna e, qualche tempo prima, aveva sponsorizzato una campagna per difendere i nostri ulivi dalla malaria della xylella.
Per non dire del progetto con il Comune di Tiggiano per un centro documentale sul cinema “spaghetti western” con la possibilità di portare in Salento tanti famosi registi ed attori.
Per canto suo, de Mistura non ha mancato di officiare l’inaugurazione di piazza don Tonino Bello e il percorso che, attraverso via Tempio, conduce alla Chiesa Madre.
Un padrino d’eccezione, non c’è che dire!
E poi a Depressa l’importante diplomatico, abituato a trattare con i più importanti personaggi della politica mondiale, non disdegna di passare il tempo libero anche al bar a giocare a biliardino.
Non molto distante da Tricase, villeggia Serena Dandini che tante volte raggiunge Tricase e che non manca di partecipare a serate (alcune anche organizzate dal Volantino) attirando intorno a sé un pubblico affezionato e divertito.
Quest’anno, per esempio, ha partecipato all’inaugurazione della Fiera della Fica a Marittima, dove scappa quando glielo consentono gli impegni televisivi e giornalistici.
Senza dimenticare Antonio Caprarica che, da Leuca dove villeggia, torma sempre con piacere a Tricase, non solo per presentare i suoi libri (ed il Volantino è sempre presente) ma anche per trascorrere piacevoli serate tra un assaggio ed una visita al centro storico, come avvenuto quest’estate.
Insomma, un Salento che si dona a chi viene, ma anche un Salento che riceve tanto da chi lo apprezza.
Uno scambio intenso e disinteressato, nel segno della bellezza, della semplicità o, in una parola, della qualità della vita.
RIPRENDE LA MENSA DI FRATERNITÀ
Il prossimo 5 ottobre, alle 13,30, riprenderà, dopo la pausa estiva, il servizio della MENSA DI
FRATERNITÀ che si svolge ogni sabato presso la struttura “MAIOR CHARITAS” dell’Associazione “Orizzonti di Accoglienza” di Via Galvani 44 – TRICASE.
La Mensa è aperta a quanti vogliono condividere un pasto con quanti si trovano in situazione di
bisogno (materiale, psicologico o affettivo) e per questo potranno trovare conforto nella sala mensa della struttura.
Vogliamo anche rimarcare che da quest’anno ai gruppi già presenti nella gestione del servizio
(Orizzonti di Accoglienza, Comune di Tricase, Ospedale Card. Panico, Parrocchia della Natività di
Tricase, Parrocchia S. Andrea di Tricase, Parrocchia di Patù) si affiancheranno due nuovi gruppi,
Parrocchia S. Antonio di Tricase e Parrocchia di Corsano: un segno di allargamento della sensibilità
di attenzione, servizio e accoglienza verso chi è più debole, nel rispetto del principio di solidarietà.
È doveroso ricordare che la fornitura di pane per tutti i pasti è offerta da “La Madia Salentina Srl”
di Tricase, così come è già avvenuto in tutti gli anni di vita della Mensa.
Un ultimo aspetto ci piace sottolineare: il gruppo di coordinamento ha deciso di aderire alla
campagna “Plastic free” lanciata da Caritas Italiana e pertanto da quest’anno la plastica verrà
bandita dalla nostra mensa e pertanto le posate saranno in metallo, in ceramica o di materiale
biodegradabile.
Per il gruppo di coordinamento
Claudio Morciano
La mia colonna di Alfredo De Giuseppe
Si dice (mi dicevano) che superati i sessanta la prospettiva cambia.
Hai superato la linea di demarcazione fra gioventù e vecchiaia, puoi pensare alla pensione, al meritato riposo e vedere il tutto con maggiore distacco.
Io che sono un sessantenne inconsapevole, che ci sono arrivato senza accorgermene e senza volerlo, riesco a vedere da quest’altezza le sedimentazioni degli anni, dei rimpianti, delle vittorie e delle sconfitte.
Riesco a vedere il film di una vita, ma non riesco a smettere di pensare al futuro, a ciò che sarà, a ciò che può venire in funzione dei nostri comportamenti.
È vero che una certa età può avere delle stanchezze incorporate: non vuoi più vedere le stesse facce ogni mattina, non vuoi più vedere spettacoli karaoke, sempre uguali a loro stessi, la commedia all’italiana con i suoi stereotipi, la politica televisiva con i giornalisti star e neanche lo stesso tramonto.
La stratificazione di eventi, ormai sempre più accelerata,
può generare confusione e sconforto, voglia di mollare e di uscire dal contesto.
Ma succede anche che puoi avere curiosità di incontrare persone nuove, di fare altri percorsi con loro, che vai a cercarti gli spettacoli innovativi che abbiano in sé i germi dell’universalità, puoi vedere dei film bellissimi anche se girati con un cellulare, puoi parlare di politica senza inebriarsi dentro.
Così pensavo mentre, qualche giorno fa, leggevo dell’ennesima ricerca che fissa a 64 anni l’età in cui si diventa realmente adulti, dopo la quale smette di esistere definitivamente il bambino che eri stato.
Nel dubbio mi tengo buona la norma che una ricerca statistica vale nel suo assunto generale ma non per i singoli. Però ora mi sovvengono i sessantenni della mia infanzia, che sembravano vent’anni più vecchi e da un millennio fermi nel loro status.
Tra i miei vicini di casa c’era chi era curvo dalla fatica e dall’assenza di anti-infiammatori, chi non vedeva bene e guidava un’Ape Piaggio, chi aveva la gotta e chi camminava con il bastone.
Molti di loro avevano come unico sfogo l’osteria con annesso vino annacquato.
C’era una miriade di stranezze (perché l’umanità di per sé è strana, essendo unica nella sua composizione genetica): chi non dormiva la notte ma solo di giorno, chi aveva l’amante sotto casa, chi faceva il sacrestano e chi aveva le galline sotto il letto.
C’era poi una minoranza di signorotti che aveva il bagno in casa, vestiva bene, aveva studiato e di solito era un insegnante, un medico o un discendente di famiglia nobile. Erano pochi, molto pochi.
I sessantenni di oggi corrono per mantenere integra la massa muscolare, vanno in bicicletta vestiti come Nibali, frequentano palestre roboanti e fanno diete personalizzate con i cibi più esotici, cucinano come chef stellati, si curano e si amano, con tatuaggi e massaggi.
Tentano di rimanere giovani, per sempre giovani, non tanto nella testa quanto nel fisico.
Non frequentano le umide osterie, ma i pub alla moda con il miglior vino del mercato, parcheggiano auto costose nello stesso spazio dove i loro padri avevano un carretto col cavallo, usano i social compulsivamente e spesso sperano di essere affascinanti.
Ai figli insegnano qualcosa di vecchio, mentre loro si rifanno le rughe, abusano di medicine e viaggiano senza nesso: e infatti i figli non ci capiscono più niente.
Straparlano spesso di politica, sparando decine di luoghi comuni sul passato e sulla nostalgia del bel tempo che fu (che forse non c’è mai stato), mentre qualcuno li ascolta, pensando davvero che abbiano avuto delle esperienze importanti.
I sessantenni, e parlo al maschile perché son gli unici che penso di conoscere un po’, sono figli di famiglie patriarcali nella loro impostazione medievale, hanno vissuto il boom economico, le trasformazioni della donna, la tranquillità impiegatizia e pensionistica, hanno visto l’uomo sulla Luna con le tv bianco/nero e la fine del socialismo reale, hanno lottato per ideali di libertà, diventati post-ideologici, hanno finito per votare i loro nemici di gioventù.
Sono tanti,statisticamente tanti.
C’è uno spazio vitale oltre i sessanta? Rassicuro me stesso e gli altri vecchietti.
C’è uno spazio di vita a due uniche condizioni: che si continui a studiare e lavorare e che si coltivi la pratica di guardare avanti, anche oltre la propria morte.
Perché quella verrà, ne sono convinto, ma il mondo continuerà, almeno per un po’.
Sono consapevole che, come capita a tutti, fra qualche decina d’anni non lascerò nessun vuoto incolmabile: il mio posto sarà preso da un essere più evoluto di me.
Tricase, 6 ottobre 2019
E’ giunta nel primo pomeriggio di oggi la comunicazione
del consigliere comunale Giuseppe Peluso :
“Ritengo che ad oggi non ci siano i presupposti per continuare un rapporto collaborativo e di fiducia con l’attuale maggioranza”
Il consigliere Peluso: “Dopo mesi di attesa alla finestra, mi trovo costretto, con grande rammarico, a dichiarare in questo momento così delicato le mie decisioni per rispondere alle continue perplessità dei miei concittadini.
Come dichiarato dal sindaco nel mese di giugno, con l’appoggio di tutta la maggioranza, entro fine settembre si sarebbe dovuti arrivare ad una completa rimodulazione della giunta; ed io pur di mantenere un equilibrio in consiglio, ho accettato di sacrificare il mio assessore mettendo, come sempre, al primo posto gli interessi della collettività e non del singolo.
Tuttavia, dopo vari rinvii e promesse non mantenute, siamo arrivati ad ottobre dove la situazione è rimasta invariata.
Mi piace essere una persona coerente e corretta con me stesso e con gli altri, atteggiamento questo che non è stato ricambiato nei miei confronti.
Per i motivi sopra esposti, ritengo che ad oggi non ci siano i presupposti per continuare un rapporto collaborativo e di fiducia con l’attuale maggioranza"
POLITRIC
Il Sindaco Chiuri ha presentato le dimissioni ed ora vi sono 20 giorni per ritirarle; è questa l’ipotesi che traspare, avendo il Sindaco dichiarato di voler continuare a governare con persone disponibili afare il bene di Tricase.
La chiamata è alla difesa di Tricase, minacciata da nemici interni ed esterni, assetati di potere e di ambizioni elettorali. Il gridare al nemico è un’antica tecnica difensiva.
Ma è vera? Chiuri parla di una comunità che sta camminando con impegno e sacrificio.
Ed è proprio questo il punto debole dell’analisi: quello che è maturato negli ultimi tempi è l’arretramento di un progetto di Città.
E’ quanto denunciato dal Presidente Martina e, prima di lui, dagli ex Assessori Turco e Piccinni.
Il nemico, tanto evocato dal Sindaco, rischia di trovare spazio perché trova il vuoto della politica e l’assenza di un progetto leggibile di Città: ad esempio, si chiude il centro storico e si occupa di auto via Roma; si chiede al Consiglio comunale il percorso della 275 e poi si condivide un altro progetto; si esprime pubblico apprezzamento per iniziative culturali ma poi dopo il saluto sopraggiungono sempre impegni istituzionali; si loda la comunicazione ma si sbeffeggia la stampa locale.
Quello che è venuto meno è proprio quello spirito di comunità in cammino, sol che si consideri che il clima di fiducia –al di là di quanto dichiarato dal Sindaco- è venuto meno addirittura all’interno della maggioranza.
A questo punto non basterebbe neppure un chiarimento interno se non vi è una svolta nello stile di fondo, altrimenti non resterebbe che rimettersi agli elettori.
Il rischio è che una conflittualità interna costringa ad andare avanti con diminuita forza ed allontani da quella pacificazione voluta da Chiuri, una pacificazione difficile ma che va perseguita nell’interesse di Tricase.
Solo così si sconfiggono i nemici veri o presunti, interni o esterni; ma per questo occorre la politica, quella vera che da qualche tempo non è dato scorgere.
A.D.