di Mario Angelelli

La memoria è lo strumento che rende possibile parlare della Storia e la nostra rigogliosa epoca inficia non poco la sua efficienza: sebbene un bombardamento di informazioni ci travolga ogni istante, queste scivolano di dosso come gocce d’acqua che alla prima tramontana, che è semplicemente il giorno dopo, si asciugano.

Le notizie non si assimilano, non si eviscerano fino al midollo, perché questi processi richiedono tempo, che a quanto pare scarseggia nelle miniere della vita d’oggi, quando invece già un’altra carovana di informazioni incalza per scacciare dall’attenzione quella che la precedeva.

Per essere più chiari, il fatto che i nostri amati
notabili abbiano l’ardire di affermare nel giro di un anno una dichiarazione e il suo contrario, è una conseguenza sia della loro furbesca memoria a breve termine, ma anche della nostra , su cui essi contano spassionatamente.

A questo punto è necessario che l’uomo si metta una buona volta dinanzi allo specchio della toeletta mattutina e guardi non solo all’altro ieri, ma anche a qualche secolo o millennio fa.

Sarà evidente che le viuzze e le autostrade della Storia sono asfaltate con materiale rosso sangue, dove i carnefici hanno agito per conto della loro ahimè “connaturata natura”.

Non che il Bene sia rimasto senza esecutori, ma è ben noto che per capire che si sta operando il bene, è purtroppo necessario che il male agisca spudoratamente, o saremmo altrimenti nella tanto sperata grazia di Dio.

L’atto caritatevole non avrebbe senso, se non ci fosse colui a cui manca la carità; l’eroe-martire di una nazione, può essere il demonio di quella accanto; la consolazione non servirebbe se tutti fossimo già consolati. In pratica è utile che l’uomo l’eterno gnorri, non si stupisca troppo di sé stesso, e non faccia finta di non riconoscersi in quegli abomini, che affollano il cosiddetto passato.

La Storia è ricolma di stragi, violenze, barbari genocidi: il calendario non è nemmeno sufficiente per accogliere tutti i truculenti anniversari, per i quali non basterebbero i secondi di un anno intero.

L’uomo è insomma perennemente in lutto: c’è chi vorrebbe portare sempre l’abito nero e chi invece preferisce mantenere il riserbo del dolore del nostro destino.

La memoria allora deve saper agire con intelligenza ed anche una buona dose di rispetto e classe, evitando che il ricordo delle atrocità più recenti si trasformi in un fondamentalismo mercificato della memoria, in uno scontato dogma mediatico che tenta l’ipocrita tregua di qualche oretta , prima che ricominci il fuoco amico e nemico.

E’ troppo comodo stringersi la mano dinanzi all’ unanime vergogna dell’Olocausto, è troppo comodo andare d’accordo sul comandamento “non uccidere”, quando occorre ben altro per mangiare il Pane degli Angeli....

Ma se per il mondo e in particolare per l’Italia, a parte la cura della febbre planetaria, non esiste un progetto alimentato da idee rivoluzionarie (non è detto che ciò sia una colpa; magari siamo al capolinea…) e capaci di nutrire con efficacia il nascituro futuro, non resta che aggrapparsi al concorde sdegno del recente passato e unirsi al coro, che è nel giusto (ma con che stile?), delle condanne.

Bisogna imparare a saper parlare del passato, non ciarlarne ad ogni angolo con frasi fatte e tratte dal calderone del chiacchiericcio mediatico, o prima o poi nel tentativo di esorcizzarlo in malo modo ci prenderà di nuovo per il naso e ce lo ritroveremo senza accorgercene fra le mani. Liliana Segre dice di non odiare: ottimo suggerimento.

Ma a furia di ripeterlo, le nostre vite si abitueranno più al “non odiare”, che all’amare. La parsimonia nel dispensare consigli per le generazioni future è forse l’atto più generoso che i nostri padri possano compiere.

Se i vuoti politici e la grassa televisione continueranno ancora a strattonare di qua e di là una degli ultimi reduci del “Male dietro i fili spinati”, credere alla Shoa diverrà solo un fatto di costume, cui la società si adatterà per inerzia, garantendo possibilità di manovra a quelle frange di stolti ribelli, la cui unica ragione esistenziale (ma a che prezzo?) è “non essere alla moda”.

Per concludere conviene capire se la nostra sveglia amministrazione, certamente soddisfatta e compiaciuta del conferimento della cittadinanza onoraria alla senatrice Segre, oltre ad accattivarsi le simpatie dell’ennesima celebrità e magari aver creduto di risolvere il decremento della popolazione conferendo cittadinanze a destra e a manca, riuscirà a proporre un buon futuro per la nostra cara Tricase, la città dei lenti
e sgangherati cantieri (anzi larghi per usare un termine musicale), dove forse si esercita l’atavica virtù della lentezza, considerata un beneficio in questa sfrenata modernità. Ma le previsioni meteo non sono delle migliori.

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