di Giuseppe R. Panico

Tempi duri, quasi da tempesta perfetta.Dalle Alpi a Lampedusa, il nostro paese è sempre più zavorrato dai suoi tanti problemi.

A cominciare da una politica che non riesce né a migliorarsi né a migliorarci.

E’ come annaspare in un fangoso torrente, e non solo per le tante piogge, diretto verso un’alta e vicina cascata e quindi un abisso dal quale solo un miracolo può farci risalire verso una più avanzata cultura di Stato, di Repubblica, di Democrazia e dunque di Civiltà.

Crollano i ponti sulle autostrade (Genova), Venezia va sott’acqua, Roma (Caput Mundi!) è un disastro fra buche stradali, spazzatura, metropolitane chiuse e… mafia Capitale. La nostra ALITALIA, di fatto fallita da anni, ma non ancora svenduta, più che farci volare, ci svuota le tasche.

In Campania, la Terra dei Fuochi continua a far vittime con segnali di fumo che sono segnali di morte. Altri fumi, polveri e vittime anche a Taranto; una città quasi disperata per un ex ILVA con meno acciaio da produrre, ben più disoccupazione e nuovi massicci interventi di Stato.

Ancora una volta, la nostra politica litigiosa e tardiva, insieme a burocrazia e giustizia, sempre più invasive, incerte e lente, allontana le imprese italiane e straniere e conferma la sua inaffidabilità.

Intanto, nelle acque fra Libia e Lampedusa, si affollano, soffrono ed annegano tanti migranti, senza che, accanto al dovere dell’accoglienza, sorga il dovere e la capacità di una efficace integrazione o di rapida espulsione.

Sono ormai centinaia di migliaia gli sbandati che vagolano nelle nostre città, piazze, stazioni e periferie; schiavi e manovalanza criminale di mafie sempre più potenti e diffuse. Anche nel nostro Salento, ormai crocevia della droga e “terra di conquista”.

Ai consueti disastri naturali, abbiamo aggiunto quelli del riscaldamento globale e dell’inquinamento ambientale. In tanti ne parlano e sentenziano, ma le soluzioni credibili e condivise (fra le nazioni) sono ancora troppo lontane.

A meno della decrescita infelice, con ritorno a fame e mortalità dell’epoca preindustriale e più ridotta popolazione mondiale. Nel “Mal Paese” vanno purtroppo aggiunti anche i tanti disastri dovuti a carenti opere pubbliche e sviluppo urbanistico da parte di una politica sovente corrotta e inadeguata a ben progettare, realizzare e gestire.

Quasi un invito alla natura ad essere ancora più invasiva e disastrosa con bombe d’acqua e terremoti, mareggiate ed alluvioni. La stessa giustizia con le sue troppo tardive e contrastanti sentenze, anche verso i tanti indagati per reati amministrativi, sembra aver quasi svilito il suo ruolo quale fonte del diritto, della rapida e giusta pena e come ultimo baluardo verso illegalità e corruzione.

Una situazione complessiva che, in ambito lavori pubblici, sembra aver originato un nuovo modo di creare lavoro, aumentare i costi e produrre debito e sottosviluppo: “fare male quello che andava fatto meglio, per poi rifarlo peggio”.

I lavori pubblici sono infatti da noi decisamente più lenti e costosi che nei vicini paesi europei, poco controllati e spesso lasciati incompleti (in Italia circa 700 grandi opere attendono di essere completate).

Il MOSE, le paratie che avrebbero dovuto proteggere Venezia, sembra ormai il corrotto simbolo della nostra disastrosa inadeguatezza. Ha inghiottito una massa sconvolgente di fondi pubblici e tanti altri ne inghiottirà Venezia per i danni subiti.

L’Europa intanto ci richiama inutilmente al nostro enorme debito pubblico.

Saranno le nuove generazioni o le… “sardine” in salsa politica, in questi giorni nelle piazze, ad evitarci l’abisso? Ma dal 2009, dirette all’estero, abbiamo già perso mezzo milione di persone e dal 2002 al 2017 dal Sud verso il Nord ne sono emigrate oltre due milioni (per metà giovani e…sardine).

Dal Sud stiamo ora perdendo pure gli anziani. Emigrano o verso l’ombra dei cipressi locali o, se non in paesi più favorevoli per le loro pensioni, come il Portogallo, per avvicinarsi a figli e nipoti per i quali ben poco ha fatto la politica da loro eletta, da loro voluta, da loro stipendiata, da loro trascurata e da loro lasciata incontrollata.Ma, in fondo, perché preoccuparsi dei problemi del Mal Paese?

Non bastano quelli propri o del proprio familismo amorale? Forze aveva ragione Giacomo Leopardi nel dire che noi italiani ci prendiamo gioco di tutto perché non abbiamo stima di niente.

Forse nemmeno dei nostri guai, del nostro bene collettivo e dunque anche di noi stessi e di quello che è ancora il nostro Bel Paese in solitaria corsa verso la sua rovina

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