di Ercole Morciano Cutrino Albione e Lutgarda Alfarano, pensionati, mi accolgono nella loro casa con affabile simpatia. Ci conosciamo da tanto tempo; loro per molti anni sono stati attivi nei Cursillos de cristianidad, un’associazione ecclesiale impegnata nella formazione del laicato cattolico. Molti sono i ricordi che i coniugi conservano nel loro cuore e in particolare quelli legati a don Tonino Bello quand’era parroco a Tricase.
Nella loro casa don Tonino capitava con una certa frequenza: il maggiore dei figli, Vito Antonio, di 18-19 anni era catechista, frequentava il liceo scientifico e si sarebbe iscritto a legge; la figlia, Eufemia, era alunna di don Tonino al liceo classico. È Lutgarda a parlare: «Con noi don Tonino aveva un bel rapporto, forse perché eravamo e siamo gente semplice. Capitava per esempio che si rivolgesse in dialetto: “Lutgarda, me tene fame, nunn’aggiu manciatu, damme ‘nna frasedda o ‘nnu taraddu cullu pummidoru”. Ed io preparavo il piatto che lui voleva consumare sul tavolo della cucina” in modo famigliare.
I rapporti di don Tonino con la famiglia Albione continuarono anche dopo la nomina a vescovo di don Tonino e il suo trasferimento a Molfetta. Vito Antonio Albione, divenuto intanto avvocato e residente a Lecce con la sua famiglia, conserva di don Tonino lettere e libri con dedica e soprattutto alcuni ricordi personali. «Avevamo scelto don Tonino, Maria Luisa ed io, per le nostre nozze – mi dice per telefono Vito Antonio da Lecce – ma in quel periodo, era maggio del ’92, don Tonino si dovette operare presso l’ospedale di Gagliano per la sua malattia. Ho vivi nella memoria vari ricordi; quello che emerge spesso nella mente come un flashback e sul quale torno a riflettere, riguarda un fatto avvenuto tra fine maggio e primi di giugno del 1980 o del 1981.
Eravamo don Tonino ed io a S. Maria Leuca per un incontro al santuario; la stagione era già buona per il bagno al quale avevamo già pensato prima della partenza. Alla fine della riunione con don Tonino, che aveva sempre in macchina le pinne, ci portiamo alla banchina del porto che allora era formato da un solo grande bacino. Ci tuffiamo in acqua e dopo qualche bracciata mi accorgo che sullo specchio d’acqua affiorano, spinte dal vento o dalle correnti, molti gruppi di meduse, di quelle violacee e particolarmente urticanti. Avendo io già fatto esperienza dolorosa di contatto con le meduse, grido a don Tonino di fermarsi. E don Tonino che mi dice? “Non preoccuparti Vito, vieni dietro a me”; io con molta fiducia lo seguo e tutto va per il meglio nella lunga nuotata che egli soleva fare».
Riprende la parola Lutgarda, una donna-moglie-madre dalla fede forte, alla quale la vita non ha risparmiato sofferenze, non solo fisiche, che lei ha sempre affrontato con “l’abbandono alla volontà di Dio”. «Era novembre 1991 – ricorda – e mia figlia Eufemia aveva avuto da 15 giorni il figlio Michele. Mi permise di portare il bambino a Molfetta, da don Tonino, per una benedizione speciale. Quando giunsi col bambino nella cattedrale di Molfetta, don Tonino stava celebrando Messa; si accorse di me e mi fece un breve cenno.
Alla fine della Messa don Tonino si avvicina e mi accoglie. Io commossa gli dico il motivo della visita, lui mi guarda sorridendo e mi dice: “Benedicimi tu, tu devi benedire me”. In seguito volle che andassi col bambino in episcopio e mi donò un suo libro con la dedica, un altro me lo diede per mia figlia Eufemia e mi donò per lei una statua di ceramica che rappresenta una chioccia con i suoi pulcini. Michele crebbe bene e ora è medico». Per me - conclude Lutgarda – don Tonino è già santo e mi mostra i quadri che raffigurano don Tonino presenti nella sua casa quasi in ogni stanza.